Non ha agito “con animo freddo” il pizzaiolo Antonio Ascione, quando la mattina del 23 luglio 2017, a Musile di Piave in provincia di Venezia, ha ucciso l’ex moglie Mariarca Mennella, ma trascinato da “una sorta di delirio” per avere letto dei messaggi WhatsApp tra Mariarca e il suo nuovo partner. Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale Ascione, lo scorso 4 ottobre, e’ stato condannato a venti anni di reclusione (in virtu’ del rito abbreviato) per l’assassinio della ex moglie 38enne Maria Archetta Mennella. Un verdetto che sarebbe potuto essere molto piu’ pesante se la legge sull’inapplicabilita’ dell’abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo, approvata lo scorso novembre, non fosse giunta troppo tardi. La donna, di origini campane come l’ex marito, si era trasferita al Nord per trovare lavoro e per allontanarsi dal consorte. Ma li’ e’ stata raggiunta e poi assassinata. Nelle motivazioni il giudice del Tribunale di Venezia Massimo Vicinanza usa toni durissimi: Ascione “ha provocato volontariamente la morte della moglie” che e’ stata colpita da numerose coltellate “quand’era ancora a letto, all’interno della sua camera, nelle prime ore del mattino, intorno alle 7, pochi minuti dopo essersi svegliata”. E ancora: “Ascione ha colpito la povera Mennella in modo a dir poco vigliacco…se l’azione delittuosa e’ stata caratterizzata dalla vilta’, il comportamento successivo (l’invio di una lettera alla figlia con il pin del telefono della madre per consentire alla 15enne di controllare la nuova relazione della madre, ndr) si connota per riprovevolezza non solo morale, perche’ incide anche sul danno che gia’ era stato provocato ai figli”. A pesare sul verdetto e’ stato il fondamentale mancato riconoscimento di due aggravanti: i futili motivi e la premeditazione. La famiglia della donna, difesa dall’avvocato di parte civile Alberto Berardi in collaborazione con lo Studio 3A, si e’ sempre lamentata dell’inadeguatezza della pena. “Il nostro sistema giuridico – hanno commentato i familiari della vittima – tutela in modo sproporzionato i colpevoli e troppo poco le vittime e i loro familiari. E’ un sistema che spinge a farsi giustizia da soli”. “Parlero’ con il pm – annuncia l’avvocato della famiglia Mennella Alberto Berardi – per capire se ha intenzione e se vi siano i margini per impugnare la sentenza, che sicuramente sara’ impugnata in sede civile”.
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