Fa tappa anche a Napoli, al Teatro Tram di via Port’Alba, lo spettacolo “Un pallido puntino azzurro”, prodotto dal Teatro dei Limoni di Foggia, finalista al Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” 2017 e vincitore della residenza artistica CTU Centro Teatrale Umbro, nello stesso anno. Un viaggio “cosmico” nel rapporto dell’uomo con la solitudine che prende vita, sul palco, grazie alla plancia di comando di un’astronave. Si fa così strada, attraverso il monologo di Roberto Galano – scritto da Christian di Furia – , una esplorazione che ha l’ambizione di raggiungere Giove e Saturno per poi tornare sulla Terra. Le registrazioni video che il protagonista, Franchino Accatagliato, invia dalla sua astronave regalano allo spettatore una sorta di doppio registro che vuole unire teatro e cinema: più di due anni trascorrono così, condensati in circa un’ora di spettacolo, restituendo la profonda trasformazione che avviene malgrado o forse a causa della solitudine, avvolto in una tuta blu mentre guarda da lontano quel “pallido puntino azzurro” che è la Terra.
Roberto Galano è attore, regista e direttore artistico del Teatro dei Limoni. È stato protagonista di numerosi allestimenti teatrali tra i quali Cose Perdute (finalista Vigata 2005), Cyrano, Hamburger (Festival Le voci dell’anima 2010), Bukoski (Premio Dot 2016). Si forma al metodo americano studiando nelle classi a “selezione” dell’acting coach Bernard Hiller.
“H3+ è lo ione triatomico di idrogeno, ed è l’elemento chimico alla base dell’Universo. Tutto nasce da questa molecola: le stelle, le galassie, l’acqua. La vita. Esplorare l’Universo, quindi, significa esplorare una parte di se stessi. Nel suo viaggio spaziale verso Giove e Saturno, il Maggiore Franchino Accatagliato scopre così il proprio mondo: un pianeta che, in effetti, aveva sempre s-conosciuto”.
“Una delle cose straordinarie che ci regala il teatro, così come la letteratura, è la possibilità di vivere molte vite. Di vivere condizioni che non sono nostre ma che potrebbero esserlo. Che forse lo sono se sondiamo la parte più scura e recondita di noi stessi. E’ questa consapevolezza, questo abisso di solitudine – resa non senza un gusto profondo per l’autoironia – che ci consegna il viaggio siderale del maggiore Accatagliato (….) Semplice e complesso, dove bellezza e malinconia convivono nella consapevolezza della nostra condizione di essere infinitamente piccoli, infinitamente fragili, a cospetto della terribile vastità dell’universo.”
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