Trieste. Tre arresti e il sequestro di un’azienda, con i suoi mezzi, per un valore di circa un milione di euro: questi i risultati di un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Trieste su un traffico illecito di rifiuti speciali. Ii carabinieri del Noe di Udine hanno eseguito in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto e Puglia, in collaborazione con i militari dei Gruppi Tutela Ambientale di Milano e di Napoli, tre ordinanze di custodia cautelare. Allo stesso tempo è stato emesso un decreto di sequestro di un intero complesso aziendale in provincia di Trieste e degli automezzi utilizzati per la commissione di reati ambientali di proprietà della stessa ditta. Sono state effettuate, inoltre, perquisizioni e sequestri a carico di altre tre società (non indagate), tutte operanti nel settore del trattamento rifiuti, nelle province di Bari, Brescia e Venezia, e tre perquisizioni personali e sequestri a carico di altri tre indagati (residenti nella provincia di Trieste, Gorizia e Venezia). Nell’inchiesta sono coinvolti amministratori (reali e di fatto), nonché personale operativo e amministrativo della società indagata (operante nel settore dei rifiuti). L’azienda della provincia di Trieste è stata sequestrata, così come gli automezzi utilizzati, di proprietà.
Le indagini, partite nell’agosto 2016, hanno permesso di individuare le responsabilità di una strutturata organizzazione criminale costituita da più soggetti che, nell’ambito della gestione dei rifiuti speciali, aggirava le normative di settore attraverso un modus operandi consistente nel ‘giro bolla’, producendo anche falsi documenti di trasporto. L’organizzazione effettuava lo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali (soprattutto contrappesi e valvole di pneumatici). L’inchiesta ha permesso di appurare che la società finita nel mirino degli inquirenti raccoglieva, attraverso i suoi autisti e con i suoi mezzi, su tutto il territorio nazionale, i rifiuti speciali, rilasciando agli interessati (per lo più gommisti) falsi formulari e destinando tali rifiuti direttamente a impianti compiacenti in Lombardia, Veneto e Puglia, senza passare attraverso l’impianto sito in provincia di Trieste per il trattamento necessario, come invece la normativa di settore prevede. L’azienda, operando in tale maniera illecita, riusciva ad ottenere notevoli ricavi eliminando quasi del tutto quelle che sarebbero state le spese di gestione e trattamento del rifiuto, generando, quindi, un volume di affari illecito pari a circa due milioni di euro.
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