Sono stati riconosciuti, a carico dei due scafisti arrestati a Salerno nel novembre 2017, solo cinque omicidi su ventisei a causa dell’impossibilità di provare che le ventisei donne raccolte cadaveri in mare siano cadute dal barcone che le trasportava. Dieci anni in due quindi con la contestazione, ieri, per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di omicidio colposo per cinque delle ventisei vittime perché tanto prevede la legge in circostanze simili. E’ questa la richiestadi condanna avanzata dalla Procura di Salerno nei confronti dei due scafisti, un egiziano e un libico, arrestati lo scorso anno. Il gup Zambrano si è riservata la decisione per il prossimo febbraio.
Il naufragio,come ricorda Il Mattino, avvenne il 6 novembre del 2017. Secondo gli inquirenti furono almeno cinque le persone morte in quella circostanza ma il mare restituì ventisei cadaveri di donne, tra i 14 e i 18 anni, di nazionalità nigeriana. Quando il barcone partito dalla Libia affondò, le donne purtroppo ebbero tutte la peggio. Perché erano state infilate nella pancia della barca, le ultime, dunque, a poter lasciare la nave. Ma non solo. Gli esami autoptici sui loro corpi e i racconti di chi aveva vissuto con loro la prigionia in Libia in attesa della partenza, ha raccontato di inaudite violenze. Violenze che qualcuna di loro ha portato con se nella propria tomba, come quel feto che portava in grembo e che era frutto di un abuso sessuale subito. Alcune di loro, sul corpo, avevano anche i segni delle frustate. Tanto che il pool di medici- erano cinque – che si occuparono delle perizie, restarono inorriditi dinanzi alle violenze viste su quei corpi inermi. Indagini che sono andate avanti per mesi fino a quando non si è deciso di contestare loro il reato di omicidio come conseguenza di altro reato. Oltre che di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
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