Napoli. Secondo Luciano Garofano, ex generale dei Ris e consulente dell’accusa nel processo per la morte di Vittorio Materazzo l’esame del Dna non mente e tutti i reperti raccolti sul luogo del delitto la sera del 28 novembre del 2016 sono compatibili e “portano” all’imputato Luca Materazzo. In particolare il consulente dell’accusa si è soffermato sulle tracce trovate nel casco marca “Nolan” e nel guanto marca “Balz” rinvenuti abbandonati nella discarica a ridosso di corso Vittorio Emanuele. “Sia all’interno del casco, sia su uno dei guanti, è stato possibile rinvenire con scientifica certezza profili misti costituiti dal sangue di Vittorio Materazzo e dal sudore di Luca Materazzo”, ha spiegato Garofano. poi il presidente della Corte d’Assise Provitera ha chiesto a Garofano di spiegare meglio il concetto di profilo misto trovato all’interno del casco. Dove è stato estratto questo profilo misto? “Dalla calotta interna al casco perché quando l’assassino si è tolto il casco, è avvenuto il rilascio della traccia biologica”, ha spiegato a quel punto Garofano. L’avvocato di Luca Materazzo, la penalista Silvia Buonanno,ha cercato di far emergere la contraddizione visto che il casco e gli altri indumenti erano sicuramente di Luca, che però ne denunciò la scomparsa il giorno dopo il delitto. Garofano è stato categorico: “Ritengo fantasiosa l’idea che l’assassino indossasse un passamontagna (che per altro non è stato mai rinvenuto), mentre per gli altri profili rinvenuti posso solo concludere con il concetto di verosimiglianza, vista la sovrabbondanza di sangue e di dna riconducibile alla vittima”. Insomma una udienza che ha segnato parecchi punti a favore della pubblica accusa.
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