span style="font-weight: 400;">Matteo Salvini, vice primo ministro italiano, ha detto che spera che i negoziati sulla Brexit si “concludano bene per il Regno Unito”. Tuttavia, il nuovo governo composto dalla coalizione Cinque Stelle – Lega, è stato sorprendentemente in silenzio su ciò di cui l’Italia ha bisogno dai negoziati e per un sicuro investimento azionario.
Sicuramente, per le imprese italiane la posta in gioco è molto alta. Gli inglesi amano il Chianti e il Prosecco; infatti, almeno il 12% di tutte le esportazioni italiane di vini, bevande e alcolici finiscono nel Regno Unito, per un totale di 937 milioni di euro all’anno, secondo Confindustria.
Il brand “Made in Italy” è sempre stato forte nel Regno Unito. Se non si raggiungerà un accordo sulle indicazioni geografiche, le sole esportazioni di alimenti e bevande italiane perderebbero 1 miliardo di euro, secondo un report del 2018 redatto dal sindacato degli agricoltori italiani Coldiretti.
La British Chamber of Commerce per l’Italia, rappresenta sia le società britanniche che operano in Italia che quelle italiane con interessi nel Regno Unito. La camera conta circa 300 membri, il 40% dei quali britannici, mentre il resto sono italiani o europei. Le multinazionali più grandi sono più indifferenti alla Brexit, a causa della loro esperienza, ma cosa ne sarà delle piccole aziende? Le multinazionali dell’energia e dei trasporti si occupano sempre di situazioni geopolitiche. La Brexit è uno shock per loro, ma ce ne sono anche altri. Le PMI sono le più colpite.
Almeno l’80 percento dei membri della British Chamber of Commerce per l’Italia, è composta da studi di consulenza fiscale, commercialisti, società di traduzione, banche e compagnie assicurative o aziende manifatturiere (principalmente automobili), e si concentrano intorno a Milano. Anche le società farmaceutiche, della pubblica amministrazione, dell’aviazione e del supporto alle infrastrutture sono raggruppate tra Roma e dintorni.
Mancano solo pochi mesi alla Brexit e sembra proprio che il governo italiano non sia preparato come molti dei suoi omologhi settentrionali della zona UE, come Paesi Bassi, Germania, Francia e alcuni paesi scandinavi, che hanno istituito commissioni interministeriali sulla Brexit. L’Italia no o almeno, nulla è stato reso pubblico.
Milano continua a farsi pubblicità come valida alternativa per le società finanziarie del Regno Unito, preoccupate per i diritti sui passaporti nell’UE post-Brexit. Subito dopo la decisione del Regno Unito di lasciare l’UE, il sindaco di Milano ha dichiarato che la Brexit è una cattiva notizia per l’UE, ma potrebbe essere un’opportunità per Milano.
La Borsa Italiana, la controparte tricolore della Borsa di Londra, potrebbe approfittare della Brexit, offrendo un porto sicuro per tutti coloro che sono in uscita dal mercato di Londra per un sicuro investimento.
Tale ottimismo però, fino a questo momento, non ha dato grandi frutti, poiché la maggior parte delle imprese o delle banche che hanno spostato le loro operazioni dal Regno Unito a causa della Brexit, hanno cercato altri hub dell’UE.
Il problema principale, sembra essere l’infrastruttura di regolamentazione italiana, che non è in alcun modo paragonabile a quella dell’ambiente dei servizi finanziari del Regno Unito. Rispetto alle dimensioni dei servizi finanziari del Regno Unito, infatti, Milano sembra essere un piccolo pesciolino fuor d’acqua.
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