I fatti del giorno

Il pentito: ‘Gli imprenditori anti clan facevano parte del ‘cerchio magico’ del boss Zagaria’

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Gli imprenditori antimafia Armando, Nicola e Antonio Diana, arrestati oggi con l’accusa di essere vicini al clan dei Casalesi, facevano parte del cosiddetto “cerchio magico”, nel quale c’erano gli imprenditori per i quali il boss Michele Zagaria “avrebbe potuto scatenare una guerra”. A riferirlo, nel corso di un interrogatorio reso il 5 febbraio del 2016, e’ Massimiliano Caterino, il primo collaboratore di giustizia a parlare del boss, per lungo tempo suo uomo di fiducia in quanto incaricato di “difendere le ragioni degli imprenditori amici di Zagaria, che si trovavano ad operare in zone di influenza di altre famiglie del clan o addirittura di altri clan”. Massimiliano Caterino parla anche degli “ottimi rapporti” tra la famiglia Zagaria e Armando, Nicola e Antonio Diana e dei contributi versati nelle casse del clan. “Mi recavo periodicamente, precisamente tre volte all’anno…a ritirare i soldi che i Diana versavano a Michele Zagaria. Si trattava generalmente di una somma che ricordo all’ammontare a circa 15mila euro che io provvedevo a consegnare a Zagaria Michele”. Zagaria perorava le ragioni di questi imprenditori, spiega Caterino, un atteggiamento che teneva “per gli imprenditori suoi amici, cioe’ quelli per i quali metteva a disposizione il proprio prestigio e la propria forza per la loro affermazione imprenditoriale e che ovviamente, a loro volta, versavano cospicue somme di denaro”.  Da imprenditori antimafia a soggetti collusi con il clan dei Casalesi: è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno per le associazioni antimafia l’indagine della Dda di Napoli che oggi ha portato agli arresti domiciliari per concorso esterno in camorra, il 77enne Armando Diana e i nipoti Antonio e Nicola Diana, fratelli gemelli di 51 anni. Le misure cautelari emesse dal gip sono state eseguite dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta. Antonio e Nicola sono figli di Mario, imprenditore edile ucciso nel 1986 dalla camorra e ritenuto vittima innocente, in quanto si sarebbe opposto – come accertato nella sentenza definitiva – alle richieste economiche delle cosche casalesi allora in ascesa; nel nome del papa’, i gemelli Diana hanno creato una Fondazione che organizza eventi anti-camorra e ogni anno assegna delle borse di studio a giovani svantaggiati. Fino ad oggi, dunque, i Diana erano considerati imprenditori anti-clan; peraltro Antonio Diana e’ cognato del collaboratore di giustizia Michele Barone, ex fedelissimo del boss Michele Zagaria, ma neanche questa vicinanza aveva mai scalfito il ruolo di veri e propri testimonial della legalita’; piu’ volte i Diana, soprattutto Antonio, hanno denunciato l’illegalita’ diffusa nel Casertano e l’ingerenza della camorra nell’imprenditoria. Nel 2010 Legambiente nomino’ Antonio Diana ambientalista dell’anno. Nella loro azienda, i Diana hanno anche assunto Massimiliano Noviello, figlio di Domenico, imprenditore ucciso nel 2008 dai killer dell’ala stragista dei Casalesi guidata da Giuseppe Setola perche’ aveva denunciato e fatto arrestare gli estorsori della camorra. Non solo, tra i dipendenti dei Diana figura anche il carabiniere che arresto’ il sanguinario killer della fazione Bidognetti. Una posizione rilevante sul piano socio-economico e culturale che l’indagine della Dda di Napoli (coordinata dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio e dai sostituti Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano) ora mette in discussione. Per gli inquirenti i tre imprenditori avrebbero stretto gia’ dagli anni ’90 un patto criminale con i Casalesi, in particolare con il gruppo del boss Michele Zagaria, originario di Casapesenna come i Diana. Il patto avrebbe permesso ai Diana di godere di una protezione e di una tranquillita’ operativa tali da permettere loro di raggiungere una posizione imprenditoriale privilegiata; in cambio il clan avrebbe ottenuto dai Diana prestazioni di servizi e utilita’, quali il cambio di assegni e la consegna sistematica di cospicue somme di denaro, necessarie ad alimentare le casse dell’organizzazione di Zagaria. Per gli inquirenti i Diana versavano somme al clan, non tangenti ma corrispettivo per i servigi resi. Come quando, proprio grazie all’intervento del clan, riuscirono ad evitare una richiesta di pizzo proveniente dalla famiglia camorristica Russo. Contestualmente alla notifica delle ordinanza, gli investigatori della Squadra Mobile hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo di tutte le societa’, tuttora attive, riconducibili ai Diana, dislocate nell’agro aversano, nel capoluogo Caserta e nelle citta’ di Napoli e Milano.


Articolo pubblicato il giorno 15 Gennaio 2019 - 22:23

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