Una vera e propria venerazione rimasta però, finora, nascosta. Lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini era letteralmente abbagliato da Rafael Alberti, il poeta spagnolo esule in Italia. Tanto da definire se stesso al suo confronto soltanto “un poeta apprendista”. A far conoscere la profonda ammirazione da lui nutrita è Francesca Coppola, ventinovenne napoletana e dottoranda di ricerca in letteratura spagnola all’Università di Salerno, che ha trovato un dattiloscritto autografo inedito di Pasolini, con correzioni a mano, fra le sue carte custodite all’Archivio Contemporaneo “A. Bonsanti” del Gabinetto Scientifico letterario G. P. Vieusseux di Firenze. Il testo di Pasolini è dedicato alla celebre silloge “Sobre los ángeles” di Alberti, tradotta in Italia da Vittorio Bodini per la collana Bianca di Einaudi con il titolo “Degli Angeli” nel 1966. La scoperta ha una caratteristica singolare: Francesca Coppola, impegnata nella tesi dottorale su Alberti, è riuscita a trovare quello che il poeta spagnolo aveva confessato di cercare invano e avrebbe voluto conservare. È chiaro il perché: “Lo guardo come un negro, che non ha mai visto un bianco, guarda un bianco” dice Pasolini abbinando stupore ed elogio. Come rileva Francesca Coppola: per lui “la lirica dell’autore spagnolo è insieme sorpresa e rivelazione”. L’inedito pasoliniano ha trovato finalmente un suo spazio nelle pagine del saggio “Su Rafael Alberti: un dattiloscritto autografo (e inedito) di Pier Paolo Pasolini”, sulla pubblicazione scientifica “SigMa: rivista di letterature comparate, teatro e arti dello spettacolo” dell’Associazione Sigismondo Malatesta, edita da Federico II University Press e diretta dalla docente di letteratura spagnola Flavia Gherardi. Nel suo saggio, la dottoranda Francesca Coppola ricostruisce le fasi dell’interesse di Pasolini per la poesia spagnola e offre uno studio con edizione critica del testo: inedito nato come intervento da tenere in pubblico e oggi divulgato con l’autorizzazione dell’erede e cugina Graziella Chiarcossi. L’intellettuale lo lesse senza consegnarlo a nessuno in occasione della presentazione di “Degli Angeli” avvenuta il 30 maggio del 1966 in via Veneto 56 a Roma, nei sotterranei della Libreria Einaudi, chiusa da tempo. Oltre a lui e all’autore, erano presenti Bodini, l’ispanista Ignazio Delogu e il poeta Gianni Toti. Pasolini, sorpreso dallo straordinario livello del poeta spagnolo, a sua volta sorprende con l’inedito: parlando di Rafael Alberti tende a far rimpicciolire il proprio valore intellettuale. Come osservato da Francesca Coppola, “non legge la poesia in quanto poeta ma – è egli stesso a scriverlo nell’autografo dedicato a – lo fa come un filologo, come un linguista”. Pertanto, continua Coppola, “la sua analisi è quella di uno specialista all’opera che sente il suo mestiere ingenuamente e al tempo stesso come un dovere”: “alla spontaneità della vocazione si accompagna la ricerca obbligata, percepita quale vincolo a cui tener fede”. Insomma, “dinanzi alla incalcolabile diversità della poesia albertiana” il “dovere si riduce a un compito inapplicabile, come a volersi difendere dal cadere in errore”. D’altra parte, aggiunge la ricercatrice, “la statura lirica di Alberti era effettivamente grande: non solo per la varietà delle modalità stilistiche da lui adottate o dei temi trattati che ne scandirono il prolifico poetare, ma anche per ciò che il più longevo membro di una stagione mitica – la Generazione del ’27 – rappresentava”. Quella generazione unica sotto il profilo letterario di cui faceva parte anche Federico Garcia Lorca, suo amico fraterno. Oppositore instancabile della dittatura di Francisco Franco e simbolo dell’ideale repubblicano, Alberti fu costretto a vivere 38 anni lontano dalla sua Spagna (dove morì nel 1999). Davanti alla qualità del poeta spagnolo, Pasolini riconosce: “Credo che non ci sia razza di poeta più diversa da me di quella di Rafael Alberti”. Proprio per questo vuole far tesoro del suo talento: “Tutto quello che so della poesia, non vale infatti per conoscere Alberti. Tutto quello che so l’esaurisco per fare poesia io stesso, e per farne esperienza nel leggere, da critico, gli altri poeti che un po’ mi somigliano. Ma la più bella cosa del mondo è continuare ad apprendere. Chi di noi non desidererebbe essere sempre apprendista, ragazzo di bottega? È così che mi sento leggendo Alberti. Come un ragazzo che entra a imparare il lavoro a una bottega, e vede il maestro intento all’opera: un’alta montagna di cristallo”. Rafael Alberti appare quindi per Pasolini, è ancora Francesca Coppola a rilevarlo nel saggio su “Sigma”, come “il maestro di fronte al quale ogni giudizio è superfluo”. L’inedito scovato dalla ricercatrice nelle cartelline del Vieusseux (datato con esattezza soltanto grazie alle ricerche compiute successivamente) rivela lo sguardo denso di meraviglia di Pasolini, contemporaneamente sia modesto nell’ammettere la grandezza di Rafael Alberti che critico eccezionalmente capace di far risaltare tutta l’essenza della sua poesia. Ci riesce con ben ventotto interrogativi, tutti volti a sondare l’afflato lirico di Alberti: “Dunque tu fai poesia così? E sei poeta? Ma come è possibile, se a me pare che ci sia un unico modo di esser poeta, il mio?”. Dalle valutazioni mirate, dedicate alla raccolta “Degli Angeli”, Pasolini allarga sistematicamente le sue riflessioni allo spessore generale dell’opera di Alberti. Ma i suoi angeli lo colpiscono non poco. Al punto da chiedersi il perché dell’allontanamento del poeta spagnolo dalla descrizione del reale.
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