Napoli. Ex giudice del tribunale di Napoli Nord e di Santa Maria Capua Vetere finisce agli arresti domiciliari per gli incarichi elargiti a commercialisti e avvocati nominati nelle procedure fallimentari, quattro professionisti sono stati interdetti per un anno. Il tribunale del Riesame di Roma ribalta la decisione del Gip e dispone per Enrico Caria, gli arresti domiciliari in relazione ad alcuni episodi di corruzione, applicate anche quattro misure interdittive per la durata di un anno nei confronti della sua compagna, l’avvocato Daniela D’Orsi, dell’architetto Giancarlo Piro Calise, del consulente Alessandro Colaci e del commissario giudiziale Alfredo Mazzei, noto per essere stato uno dei testimoni eccellenti del caso Consip quando rivelò al pm Henry John Woodcock una confidenza del suo amico Alfredo Romeo circa un incontro che l’imprenditore partenopeo avrebbe avuto a Roma con Tiziano Renzi, padre dell’ex premier, e l’imprenditore fiorentino Carlo Russo in una sorta di ‘bettola’. Circostanza pero’ sempre negata dai diretti interessati. Sotto inchiesta a Roma per presunti illeciti legati all’assegnazione di incarichi a commercialisti ed avvocati nominati di volta in volta nelle procedure di fallimento, Caria “ha commesso reiterate violazioni ai doveri di lealtà e imparzialità nell’esercizio delle funzioni di giudice delegato tanto da consentire la conclusione che l’incarico presso la sezione fallimentare era per lui anche un canale di entrate integrative per mantenere un tenore di vita probabilmente superiore a quello che il magistrato avrebbe potuto permettersi facendo unicamente affidamento sulle sole fonti lecite di guadagno”. Lo scrive il tribunale del Riesame di Roma che, ribaltando quanto deciso dal gip, ha disposto per Caria la misura degli arresti domiciliari in relazione ad alcuni episodi di corruzione. A carico dei cinque indagati, sui quindici complessivamente finiti nel mirino del pm Stefano Rocco Fava e del procuratore aggiunto Paolo Ielo, il collegio del Riesame (guidato dal presidente Bruno Azzolini) ritiene “concreto il pericolo di reiterazione del reato in quanto fondato su elementi reali e non ipotetici”. “Siamo in presenza – si legge nelle 118 pagine di provvedimento, che sarà esecutivo solo all’esito della decisione della Corte di Cassazione – di un’attività illecita, sistematica e reiterata e certamente non occasionale ed episodica”. Al di là di alcuni episodi contestati dalla procura di Roma, per i quali non è stata raggiunta la gravità indiziaria, “è comunque emersa una spiccata tendenza di Caria a chiedere e ad accettare favori e regalie dai professionisti con cui veniva in contatto, a dimostrazione del fatto che quella di ricevere utilità era per lui una vera e propria prassi, una consolidata modalità di esercizio del potere giurisdizionale. Più in generale – evidenzia ancora il Riesame – si è riscontrata la tendenza dell’indagato (che doveva provvedere sia al mantenimento della ex moglie e dei due figli avuti con lei, sia del figlio avuto dalla nuova compagna e di quest’ultima, che negli ultimi anni non aveva dichiarato redditi molto consistenti) a intessere e mantenere una fitta rete di relazioni personali nell’ambito della quale, a prescindere dalla rilevanza penale delle condotte, si assiste ad una pericolosa confusione tra interessi personali e impiego di prerogative riconosciute in virtù del ruolo pubblico ricoperto”.
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