“Ora studio l’Unesco ma non sono giullare di corte mi sento Lino di Mameli e vorrei Canosa di Puglia patrimonio dell’umanità”, così Lino Banfi all’indomani dell’annuncio della sua nomina ad ambasciatore Unesco su Repubblica e Corriere della Sera. “Sulle prime ho pensato a uno scherzo – racconta – il signore che mi ha telefonato lunedì si chiama Giorgio Giorgi. Nell’avanspettacolo lavoravo con un attore che aveva lo stesso nome e mi sono detto ‘vuoi vedere che è un nipote che vuole fare teatro?’. Invece questo Giorgi è il portavoce del ministro della Cultura, che mi ha convocato da lui per comunicarmi ufficiosamente la nomina. Nell’incontro al ministero, Alberto Bonisoli mi ha detto solo che si trattava di una carica istituzionale all’Unesco, senza entrare nei particolari” e “mentre aspettavo il taxi sotto al ministero della Cultura e non vedevo l’ora di togliermi la cravatta, perché col mio collo alla Modiglieni mi sentivo impiccato, arriva di corsa il ministro e dice ‘niente taxi, lei viene con me’. Di Maio aveva deciso di presentarmi subito, di fronte al governo”. “Non sono laureato, ma il teatro è cultura – sottolinea sulla dichiarazione dei ‘non laureati’ – Al ministro ho posto solo una conditio sine qua non. Gli ho chiesto se c’è l’obbligo dell’inglese perché non lo so parlare. Ho solo una laurea honoris causa in Scienze della comunicazione, ma non so se basta. Bonisoli mi ha detto ‘Banfi, lei è amato da tre generazioni e a noi serve qualcuno che abbia queste qualità’. Magari un giorno, da membro dell’Unesco, proporrò il nonno patrimonio dell’umanità”. E sulle proposte Banfi ne ha già una pronta: “Il ministro mi ha detto che posso proporre il mio paese come patrimonio del mondo. Canosa di Puglia lo chiede da anni perché ha degli ipogei di bellezza incredibile, delle tombe etrusche, egizie…”. Poi una domanda su un tema caldo, quello dei migranti: “Non voglio fare dichiarazioni che dividono. Dico solo che salvare vite umane viene prima di ogni altra considerazione. Poi, fare la voce grossa può anche funzionare”. “Nel 1954 dormivo nei vagoni, alla stazione di Milano. E una volta, su suggerimento di un barbùn milanese, ingoiai una diabolica polverina che mi accese le tonsille come due lampadine. Mi presentai all’ospedale di Baggio e me le feci togliere, ma solo per stare al caldo. Dopo 3 giorni, quando il medico aveva deciso di dimettermi, gli raccontai la verità. E lui mi tenne ricoverato per altri 7 giorni, raccomandando alle infermiere di farmi mangiare bene. Era un settentrionale. Capisco gli immigrati perché sono come loro, quale che sia il colore della pelle. E, come molti di loro, non so nuotare e dunque annegherei con loro”. Il comico, però, mette in chiaro: “Io voglio far ridere, sino alla fine. Anche quelli dell’Unesco. Ho iniziato la mia full immersion nell’ Unesco e ho subito capito che è un’istituzione con tanti problemi. Forse è in crisi”. “Forse è vero che io sono un comichetto, non di quelli da Oscar, ma di quelli che alimentano la risata, il buonumore del Paese. Sono l’umiltà del riso, sono un giullare, ma non sono un giullare di corte”. E sulla politica dice: “Voglio rassicurare tutti. Sono stato amico di Veltroni e di D’Alema. Ho conosciuto Aldo Moro nel 1972, me lo presentò Tatarella, che piaceva anche a sinistra. Sono amico di Emiliano. E di Di Maio che mi sembra un ragazzo per bene”.
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