Impossibile prevedere che un pullman in quelle condizioni circolasse su un tratto autostradale e neppure era possibile che i tirafondi che dovevano mantenere ancorata la barriera al viadotto, potessero corrodersi gravemente per effetto del sale antighiaccio. Su questi punti si e’ concentrata la difesa dei due ex direttori di tronco che si sono avvicendati nella gestione dell’autostrada A16, Napoli – Canosa dove il 28 luglio 2013 un pullman diretto a Pozzuoli, proveniente da Pietrelcina, perse il controllo e dopo una serie di urti con altri veicoli e la barriera laterale precipito’ dal viadotto Acqualonga di Monteforte Irpino, causando 40 vittime. Michele Renzi era al vertice del tronco in quegli anni, Paolo Berti lo aveva preceduto. Entrambi, sono accusati assieme ad altri 12 dirigenti di Autostrade per l’Italia spa di concorso in omicidio colposo plurimo, disastro colposo e per omissioni nella gestione e nel controllo. I legali dei due dirigenti, gli avvocati Guido Colella e Filippo Dinacci si sono concentrati appunto sul tema della prevedibilita’ dell’evento “incidente” e dell’evento corrosivo, respingendo le ricostruzioni del pm Rosario Cantelmo, che per entrambi gli imputati e per tutti gli altri dirigenti e funzionari di Aspi, dal responsabile del posto di manutenzione di Avellino Ovest Antonio Sorrentino, fino all’amministratore delegato Giovanni Castellucci, ha chiesto la condanna a 10 anni di reclusione. E proprio sulla mancata distinzione sul piano delle responsabilita’ di ciascuno i difensori si sono scagliati contro la pubblica accusa. Il processo che vede come imputato principale l’imprenditore Gennaro Lametta, che noleggio’ il bus malandato e con falsa revisione, e’ ormai alle battute conclusive. Il 14 dicembre prossimo altri difensori terranno le loro arringhe che si concluderanno il 21 dicembre prossimo, per poi lasciare la parola al giudice Luigi Buono per la sentenza.
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