“Il live è spettacolo, è condivisione, è le facce delle persone che ti comunicano la loro versione dei tuoi brani. È divertimento, è sudore, è chilometri, è cercare di far dimenticare per qualche minuto la propria vita a chi ti sta ascoltando. Anche a te stesso. È medicina. Dal vivo saremo in trio, una formazione che definirei un po’ Doorsiana, chitarra e voce, piano elettrico e batteria”. Parola di Riccardo Ceres, che venerdì 7 dicembre al Sanacore Roots Pub di Caserta presenta ufficialmente dal vivo il nuovo disco Spaghetti Southern, pubblicato da SoundFly (distribuzione Self) e già premiato da testate come Sette (Corriere della Sera), Internazionale, Radiocoop e Humans Vs. Robots. Insieme a Ceres i musicisti Fabio Tommasone (piano elettrico) e Raffaele Natale (batteria). “Se i film sono degli spaghetti western, il mio disco è uno spaghetti southern. Spaghetti Southern racconta del mio sud e forse anche del vostro, perché il sud è di tutti. Sud del cuore, sud del basilico e dei pomodori, degli stereotipati luoghi comuni, del mare infinito, dello stringere i denti. Il sud del volersi bene, delle donne necessarie e del darsi una mano. Tutte queste cose a mio modo di vedere sono l’Italia migliore, quella che si vede nel momento dell’estrema difficoltà, quella ad un passo del punto di non ritorno. Qui al sud tutto questo è quotidianità, perciò consiglierei a tutti di partire da sud, anche perchè partendo dal basso non si può fare altro che salire in alto”. Per il suo quarto album, quello che considera il più importante della sua vicenda artistica, Riccardo Ceres punta a sud. Al suo Sud, al sud di ogni ascoltatore, alla verità di un sud che lotta contro gli stereotipi, al sud in senso allegorico, ideale punto di ripartenza verso l’alto. Spaghetti Southern è il perfetto compendio di una storia significativa, quella di un eclettico e imprevedibile “cantautore pulp” – così Ceres è stato definito dalla stampa – attivo dal 1999, che si è scoperto anche prolifico compositore per il cinema. Spaghetti Southern è un lavoro di notevole maturazione, nel quale le storie in musica di Ceres trovano perfetta sintesi: “Quando scrivo canzoni immagino una storia, quando scrivo storie lo faccio ascoltando musica, in genere sempre lo stesso brano in genere jazz old school, Coltrane/Davis e i loro blues. Per dirla in maniera semplice “mi faccio i film” con la mia musica e le mie sceneggiature, i miei film”.
Devoto a Piero Ciampi, Paolo Conte e Tom Waits, all’epoca d’oro del jazz e del blues, alla Beat Generation, sin dal primo album Puro Stile Italiano (2001) Riccardo Ceres ha cercato un proprio stile musicale e letterario. Nel 2009 con Riccardo Ceres in James Kunisada Carpante e nel 2012 con E il mondo non c’è più si è avvicinato a un obiettivo finalmente raggiunto con Spaghetti Southern: un incontro tra motivazioni artistiche e individuali, storiche e private, dieci canzoni intorno alla misteriosa linea-guida del blues. Il blues è una scelta, ma anche un percorso inevitabile per Ceres, che sente, pensa, scrive e vive questa musica come una confessione, un rituale: “Credo che il blues sia la miglior colonna sonora per raccontare se stessi. Sono “solo” tre accordi, quelli indispensabili da raccontare e per raccontare. In varie forme lo si ritrova in tutti i sud del mondo. Per me è una sorta di cerimoniale religioso. In tutte le culture del sud del mondo le religioni più ortodosse sono costellate da riti pagani. Soprattutto nelle zone rurali la musica di queste cerimonie è composta dallo stesso giro armonico che si ripete ancora e ancora, fino allo sfinimento. Per raggiungere l’estasi mistica, per sentire e vedere quello che non si riesce a sentire e vedere nella vita reale. Per respirare a ritmo del respiro del mondo”.
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