Non puo’ essere ritenuto un’intestazione fittizia di beni “il deposito in un’abitazione privata” di contanti, deposito “reso occulto per ragioni attinenti la necessita’ di prevenire sottrazioni”, ossia solo per evitare che quel denaro venga rubato, e lo stesso discorso vale per “somme custodite in cassette di sicurezza”. Cosi’ la Corte d’Appello di Milano ha motivato la conferma dell’assoluzione per Fabrizio Corona dall’accusa principale per la nota vicenda dei circa 2,6 milioni di euro trovati in parte in un controsoffitto e in parte in Austria. La Corte a settembre aveva ridotto da 1 anno a 6 mesi la pena per Corona per un illecito fiscale concedendogli un’attenuante per aver saldato il debito. Nelle motivazioni la Corte conferma, poi, che quei contanti non erano altro che i “proventi in nero delle attivita’ lavorative” dell’ex agente fotografico. “16 mesi di carcere per Fabrizio e 7 per Francesca Persi, senza motivo – ha detto l’avvocato Ivano Chiesa – Adesso spero che la Procura di Milano non insista oltre: bisogna saper perdere”. “La sentenza – ha spiegato l’avvocato Chiesa, che ha difeso l’ex ‘re dei paparazzi’ assieme al collega Luca Sirotti – conferma che i soldi erano leciti e frutto del lavoro di Corona e delle societa’. Non c’e’ mai stata – ha aggiunto – nessuna intestazione fittizia, era solo un problema fiscale, sanato con il pagamento delle tasse”. I giudici d’appello (Brambilla-Nunnari-Puccinelli) tre mesi fa hanno confermato l’impianto della sentenza di primo grado del giugno 2017 del collegio presieduto da Guido Salvini, che aveva gia’ spazzato via le accuse principali (intestazione fittizia di beni e violazione delle norme patrimoniali sulle misure di prevenzione, contestate dalla Dda) su quei 2,6 milioni trovati in parte nel controsoffitto dell’amica Francesca Persi (pena ridotta a 3 mesi) e in Austria e che avevano portato l’ex agente fotografico nuovamente in carcere nell’ottobre 2016 (misura cautelare annullata dai giudici del primo grado). Corona era stato condannato ad un anno, ma solo per un illecito fiscale su una cartella esattoriale non pagata e in appello la Corte gli ha anche concesso un’attenuante specifica, perche’ saldo’ il debito tributario prima dell’udienza preliminare. E’ “accertato” e “incontestato”, scrive la Corte nelle motivazioni depositate oggi, che “le somme rinvenute nel controsoffitto e nelle cassette di sicurezza austriache siano da ricondurre a proventi in nero delle attivita’ lavorative svolte da Corona attraverso la societa’ Fenice srl prima, Atena dopo”. Per la sue serate nei locali e altre attivita’, infatti, Corona, tra il 2008 e il 2012, in particolare, incassava parte dei soldi “brevi manu”, in nero. E affido’ quei contanti a Persi non per realizzare una “attribuzione fittizia dei beni”, come sostenevano i pm, ma solo perche’ fosse lei “custode fiduciaria e occulta” di quel denaro.
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