La Procura di Lucca ha aperto un’inchiesta sulla morte in carcere di un detenuto malato cronico. Per tre volte, da gennaio, l’avvocato aveva fatto richiesta di trasferimento agli arresti domiciliari per le precarie condizioni di salute del suo cliente, T.M., 55enne lucchese, detenuto nel carcere San Giorgio di Lucca per reati contro il patrimonio. Ma le richieste di una misura alternativa alla detenzione non hanno avuto l’esito sperato: il 55enne da quella cella non è mai uscito. Se non dentro una bara. È lì che, il giorno di Santo Stefano, gli agenti della polizia penitenziaria hanno trovato il suo corpo senza vita, morto probabilmente per un malore. Il pubblico ministero Antonio Mariotti, riferisce la cronaca lucchese della Nazione, ha aperto un fascicolo d’inchiesta contro ignoti e ha disposto l’autopsia sul corpo dell’uomo che, da tempo, era affetto da un problema di salute cronico. Lo stesso che potrebbe aver spezzato la sua vita.Gli accertamenti intendono capire quali siano le cause reali della morte del 55enne e se ci siano eventuali responsabilità da parte del personale del penitenziario. Dove non appena la notizia del cadavere trovato in cella si è diffusa, è scoppiata una violenta protesta. Ad alzare la voce i detenuti della terza sezione, quella con gli ospiti più problematici del carcere, che hanno cominciato a sbattere pentole sulle inferriate. La tensione è arrivata alle stelle tanto che fra gli stessi carcerati si sono verificate risse e quattro di loro sono stati ricoverati infermeria. Il verdetto dell’autopsia arriverà tra 90 giorni, nel frattempo anche i familiari del detenuto morto hanno nominato un perito di parte. Quella del San Giorgio di Lucca è la seconda morte in cella dal 2016, l’ennesima in tutta Italia dove dal 2017, almeno 60 detenuti si sono tolti la vita, come da sapere puntare il garante per i diritti dei detenuti della Toscana, Franco Corleone. “Quelle di Lucca e Trento, con detenuti in rivolta e gravi violenze, sono gli ultimi due gravi fatti che accadono nelle carceri italiane. Eventi come questi sono sempre piu’ all’ordine del giorno e a rimetterci e’ sempre e solo il personale di polizia penitenziaria. Il ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria adottino con tempestivita’ urgenti provvedimenti, a cominciare dalla sospensione della vigilanza dinamica delle sezioni detentive, provvedimento che ha favorito e favorisce questa ignobile e ingiustificata violenza facendo stare i detenuti fuori delle celle a non fare nulla tutto il giorno”. A chiederlo e’ il segretario generale del Sappe, Donato Capece. “La situazione nelle carceri resta allarmante – attacca Capece – l’affollamento e’ tornato ad essere a livelli allarmanti, con oltre 60 mila presenze rispetto ai circa 42 mila posti, a tutto discapito delle condizioni operative delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria. Altro che ‘governo del cambiamento’, altro che situazione tornata alla normalita’. I problemi del carcere sono reali, non sono problemi da nascondere come la polvere sotto gli zerbini, ma criticita’ reali da risolvere concretamente, non facendo fare al Corpo di polizia penitenziaria un salto indietro di 50 anni come vorrebbe il Capo del Dipartimento Francesco Basentini che dimostra di non avere ancora capito quali sono i reali problemi dei nostri penitenziari. I numeri dei detenuti in Italia e’ tornato a livelli di affollamento insostenibili, e le aggressioni, le colluttazioni, i ferimenti, i tentati suicidi e purtroppo anche le morti per cause naturali si verificano costantemente. Con buona pace di talune dichiarazioni surreali, come quelle del ministro della Giustizia Bonafede e del capo del Dap Basentini che non rappresentano affatto la realta’ quotidiana che si vive nelle nostre strutture detentive”.
Articolo pubblicato il giorno 29 Dicembre 2018 - 16:17