Castellammare. “Don Adolfo, riguardo a mio figlio Pasqualino, non lo so vedo un .. una noncuranza”: Teresa Matrone, vedova di Michele, boss e capostipite del clan D’Alessandro, decise di regolare direttamente con l’imprenditore ‘border line’ Adolfo Greco, il ‘pensiero’ che il re del latte stabiese avrebbe dovuto consegnare al clan e in particolare al figlio detenuto di don Michele di Scanzano. La conversazione ambientale intercettata dagli agenti della Squadra Mobile il 13 marzo del 2014 nell’ufficio della Cil, l’azienda di Adolfo Greco, sembra essere la scena di un film. Invece è la realtà. La vedova del boss si presenta al cospetto dell’imprenditore, ‘amico degli amici’ accompagnata dal nipote minorenne figlio di Pasqualino. Il suo obiettivo è chiedere a Greco il ‘pensiero’ che le è sempre spettato e che da tempo non le viene più corrisposto. E parla di ‘noncuranza’ nei confronti del figlio. Greco, però, risponde prontamente che non è affatto noncurante nei confronti di Pasqualino: “Non è così, quando lui non ci è stato più, è venuto sempre da me.. fin quando è stato fuori… il suocero”. Teresa Matrone nasconde a stento la sorpresa, quell’obolo affidato al suocero del figlio, Sergio Mosca, anch’egli componente apicale del clan di Scanzano non le risulta. Almeno così appare dal tono della conversazione. Tanto che Greco si affretta ad aggiungere: “Spero lo mandava a Pasqualino … io ho sempre avuto un pensiero … voi forse … adesso mi fa piacere che voi siete venuta”. Teresa Martone a quel punto da ‘mamma’ e ‘reggente’ di fatto del clan dopo l’arresto dei figli fa sentire il suo peso e anche le conseguenze che il mancato pagamento del pensiero comporta. “Eh sì
– dice a Greco – perchè io sono la mamma e ad un certo punto la madre si prende collera … i figli si sono fatti grandi … avete capito?”. Il messaggio, secondo gli inquirenti, è stato chiaro e diretto. La collera di una ‘mamma’ e ancor più il fatto che ormai i nipoti si sono fatti grandi e in assenza dei padri sono loro ai quali bisogna rendere conto sono una chiara intimidazione a pagare quello stabilito in anni e anni di consuetudine. Così come hanno raccontato i collaboratori di giustizia Renato Cavaliere e Francesco Belviso. ‘Don Adolfo si è sempre messo a disposizione” e quando aveva fatto orecchie da mercante, per il pagamento di una tangente per i lavori di ristrutturazione di un appartamento in via Tavernola, loro – il clan D’Alessandro – non aveva esitato a bruciare le auto nel garage dove parcheggiava il figlio di don Adolfo, Luigi.
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