La Dda di Napoli ha presentato ricorso contro la mancata applicazione della misura cautelare in carcere decisa dal gip Tommaso Perrella nei confronti di 4 boss del clan D’Alessandro coinvolti nell’operazione Olimpo e che la settimana scorsa ha portato in carcere il noto imprenditore Adolfo Greco e altre 8 persone. Ma il rigetto dell’ordinanza cautelare per Paolo Carolei detto o’ pimuntese, ex nemico dei D’Alessandro durante la sanguinosa guerra di camorra con gli Imparato(di cui faceva parte)e diventato nel corso degli anni anello di congiunzione con i Cesarano e con gli Afeltra-Di Martino dei Monti Lattari, e poi ancora Sergio Mosca uscito dal carcere nel marzo del 2016 dopo 7 anni di detenzione e poi il genero Pasquale D’Alessandro, figlio primogenito del defunto padrino Michele, e Vincenzo ‘Enzuccio’ D’Alessandro fratello di Pasquale che dopo 9 anni di carcere è uscito il 29 novembre scorso. Ora si trova al Nord in regime di sorveglianza speciale. Il gip, nell’ambito dell’operazione Olimpo per loro quattro ha ritenuto che: “Alcuna esigenza cautelare appare infine ravvisabile in relazione agli indagati. Avuto infatti riguardo, per un verso, al considerevole lasso di tempo (tra i 9 e i 12 anni) (anche in verità alla data di emissione dell’ordinanza, 22 novembre, Mosca almeno era libero da tre anni e poi dopo una settimana Enzuccio D’Alessandro dopo una settimana ha riacquistato la libertà ndr) trascorso dalla perpetrazione dei fatti estorsivi loro ascritti (risalenti, come sopra accertato, al periodo 2006 – 2009) e, per altro verso, alla mancata deduzione da parte del P.M. di eventuali condotte successive sintomatiche di una perdurante pericolosità degli stessi (i quali, è bene precisarlo, sono ininterrottamente detenuti dal 2009) va allo stato esclusa qualsivoglia esigenza cautelare, con conseguente rigetto della richiesta cautelare avanzata nei loro confronti”. La Dda quindi ha già presentato ricorso chiedendo una nuova misura cautelare in considerazione della pericolosità dei quattro. Tra l’altro i due liberi ovvero Mosca ed Enzo D’Alessandro sono indicati dal super pentito Renato Cavaliere come i mandanti dell’omicidio del consigliere comunale Gino Tommasino anche se le sentenze non hanno mai accolto fino ad oggi questa indicazione.
Renato Cavaliere, colui che materialmente uccise il consigliere comunale del Pd stabiese, Gino Tommasino, il pomeriggio del 3 febbraio 2009, ha raccontato agli inquirenti cosa accadde quel giorno e soprattutto che il boss Vincenzo D’Alessandro, il reggente della cosca , disse loro:”…Avete fatto un bel casino con l’omicidio Tommasino”. Ma in un primo interrogatorio datato primo aprile 2015 aveva detto: “…gli ho detto che era stato suo cugino Salvatore Belviso a decidere l’omicidio e lui ha obiettato che certamente non doveva fare tutto quello che decideva il cugino…voleva uccidere me e Raffaele Polito”. Poi Renato Cavaliere ci ha ripensato e ha spiegato nei successivi interrogatori: “…Sono stato io ad andare a Rimini per giustificare l’omicidio di Luigi Tommasino con Enzo D’Alessandro. Lui mi ha chiesto se ero stato io e , dopo aver aver avuto la conferma, ha detto che avevamo fatto un bel casino riferendosi al fatto che avevamo commesso l’omicidio di pomeriggio in una zona molto trafficata di Castellammare di Stabia esponendoci al rischio di essere scoperti o uccisi… gli ho detto che doveva parlare con il suo cugino. Ho iniziato a giustificare l’omicidio Tommasino, ma Enzo D’Alessandro mi ha fermato dicendo che era tutto a posto. In considerazione dell’atteggiamento di Enzo D’Alessandro ho pensato che lui già fosse informato delle decisione di uccidere Tommasino Luigi. Non saprei dire se Belviso Salvatore prima della sua esecuzione abbia parlato con Vincenzo D’Alessandro o con Sergio Mosca come Belviso ha dichiarato nel corso del processo”. Ma Cavaliere in un precedente interrogatorio aveva spiegato alla Dda: “… Vincenzo D’Alessandro prima di allontanarsi da Castellammare mi aveva dato carta bianca per la commissione degli omicidi dicendomi che io sapevo chi erano i buoni e chi erano i malamente e che se i malamente erano della famiglia potevo ucciderli e che bastava che glielo dicessi prima. ero tenuto ad avvisare Enzo D’Alessandro soltanto se dovevano essere uccisi perché malamente suoi familiari. Avendo ricevuto carta bianca da Enzo D’Alessandro potevo uccidere chiunque senza chiedere il permesso e bastava che dopo l’omicidio dessi a D’Alessandro una giustificazione della mia decisione”.
(nella foto da sinistra Pasquale D’Alessandro, Vincenzo D’Alessandro, Sergio Mosca, Paolo Carolei)
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