Palermo. Cosa nostra ha una nuova commissione con quattro capi che gestiscono la mafia siciliana: emerge dall’inchiesta Cupola 2.0 che ha portato stamane all’arresto di 46 persone tra boss, gregari e estintori palermitani.
I nuovi capi della Cupola sono Settimio Mineo, reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli, Filippo Bisconti, reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno e Gregorio Di Giovanni, reggente del clan Porta Nuova. L’indagine, coordinata dalla Dda guidata da Francesco Lo Voi, ha svelato il tentativo di ricostituire la commissione provinciale ormai “in sonno” dai primi anni ’90. Mineo, classe 1938, è l’erede di Totò Riina. Il boss di Pagliarelli è finito più volte in carcere, è stato imputato nel primo maxi processo e indagato dal pool di Falcone e Borsellino.
Secondo quanto emerge dalle indagini la commissione provinciale, un tempo coordinata dal boss Totò Riina, è tornarnata a riunirsi il 29 maggio scorso, alla presenza di altri “vecchi di paese”, e cioè di reggenti di mandamenti mafiosi esterni a Palermo. Mineo sarebbe il capo, “il soggetto di maggior autorevolezza che aveva preso la parola durante la riunione e aveva chiesto a tutti gli intervenuti il rispetto delle regole spiegandone i contenuti e le modalità di esecuzione”, scrivono i magistrati nel provvedimento di fermo. A rivelarlo, non sapendo di essere intercettato, è il reggente del mandamento di Villabate Francesco Colletti che indica tra i padrini che contano Di Giovanni, detto “Revuccio” e Bisconti.
Tra i vari episodi emersi nel corso delle indagini anche l’organizzazione dell’omicidio di un pregiudicato di Villabate che faceva rapine, furti e estorsioni senza l’autorizzazione dei boss. Il progetto omicidiario era stato poi sventato dall’intervento dei carabinieri di Palermo. Nel decreto di fermo ci sono anche numerose intercettazioni tra queste quella del boss di Villabate Francesco Colletti, sottoposto a fermo, che in alcune conversazioni svela agli inquirenti che è rinata la commissione provinciale mafiosa che non si riuniva dai primi anni ’90 e ricostituita dopo la morte di Totò Riina. “Si è fatta comunque una bella cosa.. per me è una bella cosa questa.. molto seria… molto…con bella gente.. bella! grande! gente di paese.. gente vecchi gente di ovunque” dice Francesco Colletti non sapendo di essere ascoltato. Colletti raccontava ai suoi interlocutori che, durante la riunione del 29 maggio con gli altri capi dei clan, era stato stabilito che i contatti “intermandamentali” dovevano essere mantenuti esclusivamente dai reggenti per cui, in caso di problemi sorti all’interno di un mandamento, non potevano in alcun modo intervenire uomini d’onore appartenenti ad altre zone. “E una regola proprio la prima!… nessuno è autorizzato a poter parlare dentro la casa degli altri… siccome c’è un referente..”, diceva. Chi avesse violato la “norma” sarebbe stato allontanato dalla propria “famiglia” di appartenenza. “Dice basta che tu mi vieni qua da me e mi dici ‘lo sai è venuto uno ed è venuto a fare discorsi a Villabate… appena finiamo viene convocato… dal suo… e viene messo fuori perchè ci spieghiamo le regole e non le vogliono capire… e allora prendiamo e lo mettiamo fuori subito”.
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