Le case intorno al Vesuvio non resisterebbero ad un’eruzione: sono progettate solo per resistere alla caduta della cenere. E’ questo il risultato di uno studio sul rischio di un’eruzione del Vesuvio condotto dal 2006 al 2010 in collaborazione con il centro Plinio della Federico II di Napoli e coordinato da Maurizio Indirli del centro di ricerca Enea di Bologna. Indirli è tra gli organizzatori del convegno internazionale ‘Resilienza e sostenibilità delle città in ambienti pericolos’, in programma a Napoli fino a venerdì, durante il quale presenterà gli aspetti salienti della ricerca. Per ipotizzare gli effetti di catastrofi naturali in aree urbane è stato preso il Vesuvio come caso pilota e Torre del Greco come città di riferimento. In quest’area sono stati investigati 153 edifici tra abitazioni private, uffici pubblici e scuole, oltre ad alcune ville vesuviane. Sono state considerate le conseguenze che può provocare su queste strutture un’eruzione vulcanica sub-pliniana di tipo 1, quella presa in esame dal piano della Protezione civile. Le azioni riguardano eventi sismici, caduta di cenere con carichi verticali sulle coperture e flussi di tipo piroclastico, quindi azioni laterali sulle strutture. “Il risultato dello studio mostra che le strutture sono state progettate per resistere ai soli carichi verticali – spiega Indirli – e non agli altri tipi di possibili azioni. E’ importante affrontare il problema dal punto di vista della sostenibilità e della resilienza non solo per il Vesuvio, ma anche per i Campi Flegrei, ampliare queste verifiche, ragionare su una riorganizzazione complessiva a livello regionale del rischio vulcanico e fare un salto in avanti coinvolgendo tutte le istituzioni scientifiche nazionali e internazionali”.
Lo studio ha messo in evidenza la vulnerabilità strutturale dell’area in caso di eruzione vulcanica e sempre su questo tema è stata dirompente la dichiarazione del ricercato Flavio Dovrai, ingegnere termo-fluidodinamico, presidente della Gves e docente della New York University, tra i più importanti studiosi del Vesuvio e dei Campi Flegrei. “Normalmente le strutture si immaginano in base ai probabili tipi di sismicità che si possono verificare – ha spiegato Dovran – ma se si vuole decidere di abitare in ambienti pericolosi come questo bisognerebbe disegnare le strutture in grado di sostenere la massima portata degli eventi”. Programmare l’evacuazione per un’eruzione di media scala, come accade oggi, equivale quindi a fare “meta’ del lavoro – ragiona – perchè per esempio quella di Pompei del 79 d.C. sarebbe dieci volte più potente e in quel caso i piani servirebbero a poco”. Anche i piani di evacuazione attualmente in uso sono “meglio di nulla”, ma “sono un’operazione forzata e sbagliata, che punta ad allontanare le persone da quel territorio”.
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