Mentre cerca di difendersi dalle ultime accuse del New York Times e prova a uscire dall’angolo presentando nuovi strumenti per il controllo dei contenuti, Mark Zuckerberg ha confessato che in un paio di occasioni avrebbe voluto chiudere Facebook. “Abbiamo pensato di sospendere Facebook, in diverse occasioni, nel 2010 e di nuovo qualche mese fa, per difendere la privacy delle persone coinvolte nella fuga di dati a opera di hacker”: magari solo per un limitato numero di utenti, ha risposto a precisa domanda durante un forum con organi di informazione da tutto il mondo, tra cui La Stampa.
La precisazione – solo per pochi utenti – suggerisce che, come nel caso delle numerose e un po’ stucchevoli scuse offerte negli anni da Zuckerberg (a brutto muso il Congresso Usa gli intimò di darci un taglio con le scuse), la confessione di chiudere la sua creatura, sia una manovra strategica per far passare la tempesta. Ma insomma, per almeno un paio di miliardi di utenti in tutto il mondo l’eventualità di una chiusura sarebbe stata un colpo. Proprio mentre sembravano stemperarsi le polemiche sullo scandalo dei dati e le interferenze russe, un’inchiesta del New York Times riapre le ferite e punta dritta il dito contro i vertici della società, Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg. Secondo il quotidiano, non solo hanno ignorato i segnali di allarme sui russi e su Cambridge Analytica, ma hanno poi ripetutamente negato, arrivando a sviare l’attenzione dai problemi della società alimentando la disinformazione, anche quella contro George Soros. Facebook respinge le accuse. “Semplicemente false”, dice Zuckerberg.
L’indagine del quotidiano, basata su interviste a 50 fra dipendenti ed ex, riaccende le polemiche sul social media e su Zuckerberg, di cui molti chiedono la testa. Marc Benioff, il miliardario amministratore delegato del gigante della Silicon Valley Salesforce, usa parole dure contro Facebook, paragonata alla dipendenza da nicotina: “Facebook sono le nuove sigarette”, ha detto. In Congresso tornano a moltiplicarsi le richieste per maggiori controlli e indagini sulla società.All’interno del gruppo intanto il morale dei dipendenti è basso e in calo continuo, così come le azioni Facebook. A suscitare le maggiori critiche è la rivelazione sul presunto coinvolgimento del social media nella campagna di insulti e calunnie contro Soros, il fondatore di Open Society Foundations. Un’azione questa che “va al di là di ogni limite”, afferma Patrick Gaspard, il presidente di Open Society Foundations. E che mostra come Facebook sia una “minaccia” per i valori della democrazia. Per Facebook si apre così una nuova crisi, anche questa volta – e forse più delle altre – difficile da arginare.
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