foto archivio
Archiviazione degli indagati secondo la Procura di Salerno, per i due militari della Capitaneria di porto, già destinatari di provvedimenti disciplinari. I dueerano finiti sotto indagine per omissione di soccorso nei confronti di tre persone che avevano trascorso la nottata su di un gommone a largo di Capo d’Orso, dopo che l’imbarcazione a bordo della quale si trovavano era colata a picco. Il sostituto procuratore Giovanni Paternoster l’ha chiesta al termine delle indagini preliminari per tre volte e per altrettante è stata accolta opposizione, la collega Francesca Fittipaldi lo ha chiesto in sede di apertura del dibattimento ma in questo caso è stato il presidente del collegio della prima penale a rigettare la richiesta. I fatti risalgono al giugno del 2011 e i reati rischiano di essere prescritti a fine 2019. Per questo motivo, su sollecitazione della difesa di parte civile, l’avvocato Ciro Bianco, ha chiesto di velocizzare i tempi. A chiedere giustizia, come riporta Il Mattino, è però soltanto uno dei tre naufraghi, il proprietario della barca affondata, che ha intrapreso anche un’azione civile per lesioni, considerata la prognosi di sette giorni riconosciutagli dai sanitari per ipotermia. Anche questo procedimento è ancora aperto presso la sezione civile del tribunale di Salerno. Una delle tre vittime è un architetto di Castel San Giorgio che ha raccontato di una giornata da incubo segnata dall’incidente ma anche dall’impossibilità di comunicare con la terraferma perché il suo operatore telefonico, in quella zona, non prendeva. L’architetto era uscito in barca con due amici. Appena si rende conto che sta imbarcando acqua, con il cellulare chiama la Capitaneria di porto ma, non essendoci linea, l’unico numero che riesce a selezionare è il 112. Parla con i carabinieri, spiega la disavventura che gli è capitata e questi si prendono l’incarico di avvisare la sala operativa della guardia costiera di Salerno. Ai colleghi di turno in quel momento, era tarda mattinata, i carabinieri girano non soltanto le informazione prese ma anche il numero di cellulare del malcapitato diportista ma gli uomini della Capitaneria non riescono a mettersi in contatto con i naufraghi perché la zona non aveva copertura telefonica, consideerando la la richiesta di soccorso come uno scherzo. Nel frattempo la barca cola a picco e i tre trovano riparo su un gommoncino sul quale trascorreranno l’intera notte. Non vedendo arrivare i soccorritori, l’architetto tenta di attirare l’attenzione con dei razzi segnaletici senza ottenere risultati. Nella prima serata dello stesso giorno, a chiedere aiuto è anche la moglie del professionista non vedendolo rincasare. Contatta la Guardia Costiera ma i militari in servizio, diversi a quelli della mattina, non trovano alcuna segnalazione. La mattina successiva la donna, disperata, richiama e si rivolge ad altri militari che si mettono a lavoro e rintracciano la cella sulla quale si è agganciato il numero di telefono dell’architetto. Ricostruiscono la vicenda, attraverso anche l’aiuto dei carabinieri che – invece – hanno la telefonata registrata. Di qui i soccorsi ma l’architetto e i suoi amici erano già stati tratti in salvo da un elicottero della guardia di finanza.
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