La Grand Chamber della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso, a maggioranza, di archiviare, tecnicamente di cancellare dal ruolo, il ricorso presentato nel settembre del 2013 dall’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, secondo il quale l’applicazione nei suoi confronti della legge Severino, che ne aveva provocato la decadenza dalla carica di senatore in conseguenza della condanna inflittagli per frode fiscale, avrebbe violato alcuni articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tenendo conto del fatto che Berlusconi è stato riabilitato l’11 maggio scorso e del suo desiderio di ritirare il ricorso, la Corte ha concluso che non sussiste “alcuna circostanza speciale connessa al rispetto dei diritti umani” tale da richiedere di continuare l’esame del ricorso. Nel caso di Silvio Berlusconi, secondo i giudici di Strasburgo, che hanno deciso a maggioranza, non sussistono motivi tali da ritenere che il ricorso debba essere ulteriormente esaminato. Il ricorso di Berlusconi alla Corte verteva, nel dettaglio, su diversi punti: anzitutto Berlusconi aveva sostenuto che l’applicazione della legge Severino, che gli aveva impedito di candidarsi e ne aveva provocato la decadenza dalla carica di senatore avesse violato i principi di legalità, prevedibilità, proporzionalità e applicazione non retroattiva della pena. Inoltre, per il leader di Forza Italia l’incandidabilità prevista dalla legge Severino non rispetterebbe inoltre i principi della legalità e di proporzionalità rispetto al fine previsto, violando in tal modo il suo diritto a portare a termine il mandato elettorale e ledendo l’aspettativa legittima degli elettori che egli sarebbe stato senatore. Il ricorrente aveva lamentato, poi, la mancanza di un rimedio accessibile ed efficace nell’ordinamento italiano attraverso il quale contestare la compatibilità del decreto legislativo in questione con la Convenzione e contestare la decisione del Senato del 27 novembre 2013, che ne aveva provocato la decadenza da senatore. Berlusconi lamentava anche che gli era stato vietato di candidarsi per sei anni, come sarebbe successo a una persona cui fosse stata inflitta una pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici più severa della sua. Silvio Berlusconi ha successivamente ritirato il ricorso il 27 luglio 2018, alla luce della riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, chiedendo che il ricorso fosse cancellato dal ruolo, cosa che oggi la Corte ha fatto.
I difensori dell’ex premier – gli avvocati Franco Coppi, Bruno Nascimbene, Andrea Saccucci e Niccolò Ghedini – con una nota hanno spiegato i motivi per i quali il leader di Forza Italia aveva ritirato il ricorso: “Il Presidente Berlusconi a seguito di una ingiusta sentenza di condanna era stato privato, con indebita applicazione retroattiva dalla cosiddetta legge Severino, dei suoi diritti politici con conseguente decadenza dal Senato. Nell’aprile di quest’anno l’intervenuta riabilitazione ha anticipatamente cancellato gli effetti della predetta legge. La Corte EDU a distanza di quasi 5 anni dalla proposizione del ricorso, a quella data, non aveva ancora provveduto. Ovviamente, cosi’ come riconosciuto quest’oggi dalla stessa Corte, non vi era più necessità di proseguire nel ricorso essendo ritornato il Presidente Berlusconi nella pienezza dei propri diritti politici. Non vi era dunque più alcun interesse dopo oltre 5 anni di ottenere una decisione che riteniamo sarebbe stata favorevole alle ragioni del Presidente Berlusconi ma che non avrebbe avuto alcun effetto concreto o utile, essendo addirittura già terminata la passata legislatura. Una condanna dell’Italia avrebbe altresì comportato ulteriori tensioni nella già più che complessa vita del paese, circostanza che il Presidente Berlusconi ha inteso assolutamente evitare”.
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