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Ecomafia: gli arresti record, le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia

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Mai nella storia del nostro Paese sono stati effettuati tanti arresti per crimini contro l’ambiente come nel 2017, mai tante inchieste sui traffici illeciti di rifiuti. E’ quanto emerge dal Rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente da cui spiccano infatti le 538 ordinanze di custodia cautelare emesse per reati ambientali nel 2017 (139,5% in più rispetto al 2016).

Un risultato importante sul fronte repressivo frutto sia di una più ampia applicazione della legge 68, come emerge dai dati forniti dal ministero della Giustizia (158 arresti, per i delitti di inquinamento ambientale, disastro e omessa bonifica, con ben 614 procedimenti penali avviati, contro i 265 dell’anno precedente) sia per il vero e proprio balzo in avanti dell’attività delle forze dell’ordine contro i trafficanti di rifiuti: 76 inchieste per traffico organizzato (erano 32 nel 2016), 177 arresti, 992 trafficanti denunciati e 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati (otto volte di più rispetto alle 556 mila tonnellate del 2016). Il settore dei rifiuti è quello dove si concentra la percentuale più alta di illeciti, che sfiorano il 24%.

I numeri di questa nuova edizione del rapporto Ecomafia dimostrano i passi da gigante fatti grazie alla nuova normativa che ha introdotto gli ecoreati nel Codice penale, ma servono anche altri interventi, urgenti, per dare risposte concrete ai problemi del paese. La lotta agli eco criminali deve essere una delle priorità inderogabili del governo, del parlamento e di ogni istituzione pubblica, così come delle organizzazioni sociali, economiche e politiche, dove ognuno deve fare la sua parte, responsabilmente.
Gestire in Italia 200 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno preoccupandosi di dare in pasto all’attenzione – e ai sensi di colpa – del cittadino italiano medio soltanto i 29 milioni di tonnellatel’anno di rifiuti urbani è la principale occupazione di aziende, criminali o meno, governi nazionali e locali, e persino società di ambientalisti impegnati allo spasimo nella (giustissima) lotta agli inceneritori, ma che nulla dicono sulla totale assenza di corretto smaltimento dei rifiuti industriali, ospedalieri e radioattivi, dei rifiuti tossici come l’amianto e dei rifiuti speciali pericolosi come i fanghi di depurazione. La Campania continua imperterrita a restare a zero in quanto a impianti finali a norma per rifiuti industriali favorendo quindi il rogo degli impianti di stoccaggio dei rifiuti urbani “legali” ormai saturi anche di rifiuti speciali “commisti”.
Cosa altro si deve nascondere se si tenta di incendiare per ben due volte l’impianto di Casalduni per distruggere qualunque prova in caso di controlli? In Regione si deve patteggiare ogni giorno il “turismo dei rifiuti tossici” creando i presupposti per assicurarelaute mazzette a funzionari regionali infedeli (e di partito) incaricati delle trattative come ha dimostrato Fanpage. Per la Campania evidentemente va bene così, giova a tutti i partiti al potere e al buon nome delle pummarole campane! Questo è “‘O Sistema!”.
Nei primi giorni di agosto a Mariglianella (NA) si moriva dalla puzza di cancerogeni certi. Un incendio doloso il 18 luglio 1995 (Agrimonda) ha causato il rogo di circa seimila tonnellate di pesticidi e fitofarmaci cancerogeni. Dopo oltre 23 anni di percolamento tossico nel terreno di potentissimi cancerogeni in pieno centro cittadino, stante la impossibilità di bonifica per l’assenza totale di qualunque tipo di impianto di discarica finale a norma intraregionale, a costi più che triplicati il trasferimento negli impianti finali di Brescia è stato bloccato perché, ovviamente, in questo caso non era possibile cambiare la natura CER dei rifiuti tossici nei siti di stoccaggio e quindi sono stati respinti dagli impianti finali di Brescia, novella Terra dei Fuochi degli anni 2000.
Nel bresciano oggi, rispetto ai nostri 25 milioni di tonnellate di rifiuti tossici stimati e presenti nelle viscere delle nostre terre dagli anni 90, sono già “legalmente” tombati oltre 75 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e tossici mai controllati efficacemente grazie al “giro bolla” cartaceo e alla assenza di tracciabilità satellitare.
“Terra dei fuochi” è un termine che va “tombato” perché ha fatto tanto male alle pummarole campane. Finché non avremo il coraggio di affrontare e con urgenza il problema dal lato giusto e cioè quello del corretto controllo e smaltimento dei rifiuti speciali industriali e tossici e non urbani, della tracciabilità dei rifiuti (industriali ed urbani) e della totale assenza di impianti di smaltimento a norma dei rifiuti industriali in Campania, “Terra dei fuochi” si sposterà soltanto e non si spegnerà mai.

 Gustavo Gentile


Articolo pubblicato il giorno 11 Novembre 2018 - 22:21
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