Napoli.Il fenomeno delle ‘stese’ a Napoli nasce dalla “necessita’ dei ragazzi di usare la violenza per imporsi all’interno del gruppo”. E’ una situazione che va “guardata con attenzione” e che “mi preoccupa”, perche’ “quelli che riusciranno a imporsi saranno probabilmente i veri leader di domani”. E’ la riflessione del direttore della Dia, Giuseppe Governale, che e’ intervenuto a Napoli all’incontro organizzato dall’universita’ Federico II sul tema dell’esperienza investigativa nel contrasto alla criminalita’ organizzata e dell’educazione alla legalita’. Soffermandosi sulla situazione di Napoli, dove “i grossi boss sono in galera”, il capo della Direzione investigativa antimafia definisce i raid armati con spari in aria come qualcosa che “sembra improvviso e spontaneo” e che denota “una modernita’ e una moda di un’espressione criminale”. Per imporsi le nuove generazioni “hanno bisogna di esprimere la loro vitalita’ – argomenta – e, in microculture come quelle della citta’, un modo credibile per farlo e’ quello della violenza”. In questo modo puntano a “essere compresi dal gruppo e a svolgere un’azione di leadership”. Questa ‘accademia’, come la definisce Governale, “portera’ a evidenziare nel medio-lungo termine coloro che sono piu’ crudeli e piu’ capaci di imporsi”. Diventa dunque importante lavorare affinche’ “questi ragazzi non vengano visti come un punto di riferimento”. In quest’ottica la militarizzazione del territorio “non e’ una panacea – ragiona Governale – e’ solo l’antibiotico. Poi pero’ bisogna vaccinarsi per evitare di prendere l’influenza, ovvero far crescere dentro di se’ quello scudo, quell’anticorpo che ognuno deve avere in modo da resistere alle tentazioni”. Governale poi si è soffermato sul fenomeno in generale delle mafie. “Le mafie non sono state distrutte finora perche’ non sono semplici organizzazioni criminali, ma strutture con senso di appartenenza e spirito di coesione”, ha spiegato. E poi ha aggiunto: “I mafiosi hanno il sentiment di una subcultura – spiega – voi dovete avere il sentimento di far parte di una squadra, lo Stato, che e’ fatto da ciascuno di noi”. Per Governale, infatti, “la classe dirigente nazionale mostra qualche lacuna”. “Non parlo di lacune culturali o professionali – chiarisce – ma c’e’ una difficolta’ delle classi dirigenti a individuare quel minimo comun denominatore che li leghi come squadra, quel senso dello Stato, di appartenenza, quello spirito di coesione che fa le compagini forti”. Il generale di Divisione dei carabinieri sostiene che, in questa battaglia, “la legalita’ non e’ sufficiente. Non basta che un esponente delle istituzioni dica di non aver commesso reati. Il suo comportamento deve essere tale da diventare un esempio. Il popolo ha bisogno di esempi, questo la mafia lo sa, tanto da aver creato una subcultura”.
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