Castellammare. Arriva la condanna a 9 anni di carcere anche per Luigi Di Martino, alias ’o profeta, uno dei capi del clan Cesarano di Ponte Persica, periferia tra Pompei e Castellammare di Stabia. Una nuova mazzata per il reggete della cosca che faceva pagare il pizzo seguendo gli aumenti degli indici Istat.I giudici del tribunale di Torre Annunziata (presidente Maria Laura Ciollaro, a latere Maria Camodeca e Patrizia Acampora) non hanno accolto la richiesta del pm che aveva chiesto dodici anni di reclusione in continuazione con l’altra condanna a nove anni e mezzo per le estorsioni al bingo dei fratelli Moxedano. La testimonianza in aula dell’imprenditore coraggio è stata determinante ai fini delle pesante condanna al boss e della decisioni dei giudici. “Costretto a pagare ogni mese il pizzo al clan Cesarano, ma in dieci anni la rata era passata da 500 euro a 4mila. Non volevo avere problemi. Avevo paura per la mia famiglia e temevo che mi facessero fuori dal mercato delle slot machine”. Aveva raccontato l’uomo nel maggio scorso nel corso di una drammatica testimonianza. “Pagavo prima a Gerardo, il figlio di Luigi. Almeno fino a quando è stato arrestato. Poi dopo che era uscito dal carcere il boss mi hanno portato da Luigi Di Martino in via Schito”. E a quel punto cambiano le tariffe del pizzo mensile sulle slot. “Da oggi mi devi pagare 1000 euro al posto dei 500 che pagavi prima”, le parole che Di Martino avrebbe ripetuto all’imprenditore. Una richiesta esosa alla quale, però, la vittima si sarebbe piegata. Almeno fino a quando non viene arrestato anche Luigi Di Martino. “Dopo mi fu presentato Raffaele Belviso che disse che comandava lui e aumentò le pretese fino a 2mila euro. Belviso volle incontrarmi in un caseificio di Castellammare. Disse che voleva 4mila euro perché io avevo clienti anche a Pompei e Scafati, nono solo a Castellammare. E anche perché i carcerati sono aumentati. A quel punto ho denunciato”. La rata veniva pagata in contanti, in una busta chiusa, consegnata spesso da un dipendente della vittima, direttamente al Kimera Cafè di Pompei (sequestrato la scorsa settimana). Il gestore, Aniello Falanga, è finito in carcere ed è stato condannato in abbreviato insieme agli altri tra cui lo stesso figlio di Di Martino e il successivo reggente Raffaele Belvivo per questi fatti.
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