Ucciso dai sicari del clan, il pentito ‘inattendibile’ non salva gli affiliati di Setola.
La Cassazione conferma le condanne nonostante i dubbi sulle parole del collaboratore
Non ci sono le basi per accogliere i ricorsi e per questo diventa definitive le condanne a carico di due uomini considerati vicini al killer stragista dei Casalesi Giuseppe Setola. E’ quanto ha messo nero su bianco la Corte di Cassazione nel respingere i ricorsi di Salvatore Santoro, 31 anni di Aversa, e Giovanni Bartolucci, 38 anni di San Marcellino.
I due erano stati coinvolti nell’inchiesta sugli omicidi dell’albanese Doda Ramis, avvenuto il 21 agosto a San Marcellino, insieme con Giuseppe Guerra, poi divenuto collaboratore di giustizia (e infatti non ricorrente in Cassazione e condannato a 15 anni di carcere). In Appello i due ricorrenti erano stati condannati a 30 anni (Santoro) e 16 anni (Bartolucci). In particolare per Bartolucci era stata esclusa la partecipazione all’omicidio di Doda, ma è stata confermata la partecipazione all’organizzazione criminale. E proprio sulla “inaffidabilità” delle dichiarazioni del pentito Guerra si è giocata la partita in Cassazione, visto che già la Corte d’Appello aveva ritenuto non credibile il pentito sotto alcuni profili.
Gli ermellini hanno certificato il ruolo di Santoro che “era giunto all’appartamento di Trentola Ducenta dopo il giro di ispezione ed aveva riferito della presenza di Doda al bar; poco dopo il gruppo di fuoco era partito con Santoro che faceva, col proprio motoveicolo, da apripista al fine di accertare che non fossero presenti forze dell’ordine”. Mentre su Bartolucci, chiariscono: “La sentenza giustifica la valutazione frazionata delle dichiarazioni di Giuseppe Guerra, ritenuto inattendibile quanto all’accusa a Bartolucci di aver partecipato all’omicidio di Doda con riferimento alle dichiarazioni relative alla partecipazione del ricorrente al clan camorristico, e fornisce una spiegazione alla dichiarazione di Spagnuolo di non avere mai conosciuto Bartolucci prima del suo arresto, facendo leva sulla prassi di Setola di utilizzare, durante la latitanza, persone di sua estrema fiducia, che spesso non erano conosciute dagli associati”.
Gustavo Gentile
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