Insospettabili ed assoldabili: così dovevano essere i candidati sindaci nell’agro aversano. E’ quanto emerge dalle dichiarazioni che Nicola Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco Sandokan, ha reso ai magistrati antimafia dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia. Ed emerge uno spaccato che, in parte, era facilmente immaginabile, cioè la ‘presenza costante’ del gruppo criminale anche nelle scelte politiche. Ma, soprattutto, viene fuori un ‘lavoro certosino’ per far candidare a sindaco persone che dovevano essere al di sopra di ogni sospetto delle forze dell’ordine, ma al tempo stesso pronte ad accontentare le richieste che proveniva dai boss.
“Guardavo l’affidabilità di quella persona, la serietà nei nostri confronti, il fatto che non fosse attenzionato dalla magistratura, il profilo anche psicologico e l’appartenenza della famiglia di provenienza”. Erano queste le basi di partenza del ragionamento di Nicola Schiavone e dei suoi sodali per scegliere i candidati a sindaco, che dovevano ottenere il “nulla osta” per la candidatura, mentre l’ultima parola sulle liste (Schiavone fa riferimento alle elezioni 2004 e 2007 a Casale che lo hanno visto protagonista) “io dovevo avere l’ultima parola sulla base degli stessi criteri di prima”.
E nei verbali spunta anche il nome di Nicola Cosentino, ex sottosegretario del governo Berlusconi e per anni leader indiscusso di Forza Italia e Pdl in provincia di Caserta e poi in Campania. Stando al racconto del neo collaboratore sarebbe stato in alcuni casi proprio Cosentino a dare “indicazioni” sui candidati insieme ad un’altra persona che, per il momento, resta ancora “un’incognita” essendo “omissata” nei verbali. Ma il dato che emerge è che il clan non faceva distinzione di partito o ideologia. “Chiunque di loro avesse vinto doveva far riferimento a noi del clan” ha spiegato il figlio del capoclan.
Gustavo Gentile
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