Altro che cambiare il nome, Maurizio Martina intende procedere a una ricostruzione complessiva del Partito Democratico che parta dalla Carta dei Valori e prosegua con una “riflessione” sullo statuto, primarie comprese. La discesa in campo di Nicola Zingaretti e le parole con cui il governatore del Lazio l’ha accompagnata hanno lasciato il segno, a partire dalla presa di distanza di Macron e l’ipotesi di cambiare il nome stesso del partito. Parlera’ domani alle 11, a Cortona, e li’ dovrebbe chiarire innanzitutto che la polemica sul cambio di nome o superamento del Partito democratico e’ strumentale. Il candidato – per ora unico – al congresso e’ gia’ arrivato alla convention di Area dem, associazione interna al Pd che fa riferimento a Dario Franceschini, nel pieno della polemica scatenata dalla sua intervista a Peter Gomez. Dal palco di Pietrasanta, dove e’ in corso la festa del fatto Quotidiano, il giornalista ha portato Zingaretti ad ammettere che un cambio di nome non e’ un tabu’. Ma, stando a quanto lo stesso Zingaretti spiega a chi lo ha sentito in queste ore, non e’ certo la scelta di un nuovo brand ad esser in cima ai pensieri del governatore del Lazio. Anzi, forse Zingaretti non e’ nemmeno tra i piu’ convinti sostenitori della necessita’ di lasciarsi alle spalle un nome percepito ormai dall’opinione pubblica come sinonimo di vecchio establishment. Nei corridoi di Montecitorio, prima della pausa estiva, piu’ di un esponente dem sollevava dubbi sull’opportunita’ di insistere con un brand che, a 5 anni dalla vittoria alle politiche e due governi, ha collezionato tre sconfitte consecutive e che si appresta ad affrontare una tornata considerata “dirimente” come quella delle europee del 2019.
In attesa di Zingaretti, e’ il segretario Maurizio Martina a intervenire sull’argomento davanti a Franceschini e Piero Fassino. “Non credo che la funzione del Partito democratico sia finita”, spiega il segretario, “non penso che dobbiamo affrontare il lavoro di riprogettazione del Pd partendo dalla coda. Il tema della giornata e’ cambiare nome, ma dobbiamo partire dalla testa: l’Italia e’ la frontiera piu’ importante di una partita sulla nuova Europa che si giochera’ da qui alle prossime settimane”. Insomma, si puo’ anche discutere di un cambio di nome, ma non in questo momento e, soprattutto, al termine di un discorso piu’ ampio e compiuto che parta dalla forma partito. Anche su questo punto Martina ha voluto battere un colpo, partendo dal totem per eccellenza del Pd: “Ci siamo cullati sugli allori pensando che le primarie potessero colmare la funzione democratica di un partito che si metteva a costruire nuova partecipazione. Ma la discussione sulle primarie e’ diventata una gabbia piu’ che una opportunita’. Era una novita’, ora non lo e’ piu’. Su questo io rifletto”. E aggiunge: “serve una carta fondamentale di riferimento perche’ quella della fondazione del Pd e’ vecchia rispetto a queste sfide”. Di questo, per Martina, “dovra’ occuparsi il congresso”, che non e’ stato ancora convocato ma che, a sentire gli alti esponenti dem, potrebbe tenersi a febbraio, preceduto da un Forum nazionale a fine ottobre. Congresso che vede, al momento, il solo candidato Nicola Zingaretti, in attesa del candidato di area renziana. I nomi in campo, almeno sulla carta, sono quelli di Graziano Delrio e Teresa Bellanova.
Nelle ultime ore sta circolando, tra i notabili Pd, anche quello di Simona Bonafe’, renziana della prima ora ed europarlamentare. Un profilo giovane, nuovo e ‘rosa’ in grado di dare nuova vivacita’ a un congresso che, altrimenti, si trasformerebbe in una corsa in solitaria per il governatore del Lazio. Solo una ipotesi al momento visto l’ex segretario non ha affrontato ancora il tema, come spiegano esponenti dem a lui vicini. Tra i renziani c’e’ comunque la consapevolezza che non si potra’ attendere oltre la Leopolda. Cio’ su cui sembrano trovarsi d’accordo le varie anime del Pd e’ la necessita’ di mettere in campo alle europee un fronte anti sovranista che comprenda anche Macron. Dopo l’intervista in cui Zingaretti ha avvertito sulla necessita’ di non abbracciare il progetto En marche, letta dai renziani come un attacco al campione degli europeisti, Nicola Zingaretti e’ tornato sull’argomento precisando che si’, di Macron c’e’ un gran bisogno per fronteggiare l’onda sovranista, ma che non ci si puo’ appiattire sul progetto politico di En Marche. Concetti che sembra ribadire anche Graziano Delrio, capogruppo dem alla Camera, che sulle pagine del Foglio spiega: “Macron e’ un pezzo di questo progetto europeista, ma penso che ci sia bisogno di molto altro per ricostruire l’Europa. Dentro il suo partito non c’e’ ancora il germe il ripensamento del modello di sviluppo capitalistico”. Troppo importante la tornata elettorale di maggio per arrivarci divisi, spiegano fonti parlamentari vicine a Renzi. Anche perche’, aggiungono, la legge di bilancio puo’ rappresentare per il governo “un evento sismico”. Il contesto economico internazionale, spiegano ancora, e’ precario per Salvini e i suoi alleati, con lo spread a 293 e le analisi impietose delle agenzie di rating. L’altro evento potenzialmente letale per il governo porta la data del 5 settembre, giorno in cui il tribunale del riesame si pronuncera’ sul sequestro dei futuri proventi della Lega. In quel caso, ha sottolineato il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, “il partito chiude”. Ma nessuno nel pd si illude che la fine del governo rappresenti anche la fine della maggioranza. Anzi, lo spettro che si materializzerebbe per i dem e’ quello di un Salvini che ‘mangia’ il resto del centrodestra con la creazione di una nuova creatura da lui guidata, arrivando a conquistare le stesse percentuali politiche dei Cinque Stelle e apprestandosi a governare per chissa’ quanti anni ancora.
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