Scafati. “Nessun dubbio in ordine all’esistenza di un accordo corruttivo tra Angelo Pasqualino Aliberti con Alfonso Loreto, Luigi Ridosso e Gennaro Ridosso volto a sostenerlo come candidato per l’elezione a sindaco garantendo/promettendo in cambio appalti/nomine. Il tutto reso possibile grazie alla forza di intimidazione che i predetti, partecipi di un clan di stampo camorristico, operante sul territorio da anni, imponevano così da essere riconoscibili e riconosciuti dai più, primo fra tutti Aliberti Angelo Pasqualino il quale, consapevole dello spessore criminale dei medesimi, originato anche dalle rispettive famiglie, non acconsentì alla candidatura diretta di un esponente di quella famiglia ma chiese l’individuazione di un altro candidato/nome apparentemente non ricollegabile alla medesima”.
E’ scritto nero su bianco nelle motivazioni della sentenza che hanno portato alla condanna di Alfonso Loreto e i cugini Luigi e Gennaro Ridosso, con rito abbreviato. Il giudice per le udienze preliminari Emiliana Ascoli ha valutato le accuse di scambio di voto politico elettorale e corruzione elettorale, violenza privata e estorsione a carico dei tre pregiudicati, ritenuti esponenti del clan Loreto-Ridosso, giungendo alla conclusione che quel patto – ipotizzato dalla procura antimafia – c’è stato anche se con sfumature diverse tra il 2013 e il 2015, cioè l’anno delle consultazioni amministrative e quelle regionali. Per il 2013 si chiama corruzione elettorale quella per la quale sono stati ritenuti responsabili i tre imputati, la sentenza emessa a luglio scorso compromette e non poco la posizione processuale dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, a meno che la sentenza emessa in primo grado non sia completamente ribaltata nei prossimi due gradi di giudizio, o che si arrivi ad un paradosso giudiziario con un giudizio difforme dei giudici che stanno valutando la posizione dell’ex primo cittadino e dei suoi coimputati: la moglie Monica Paolino e il fratello Nello Maurizio con l’ex staffista Giovanni Cozzolino, l’ex consigliere Roberto Barchiesi e Ciro Petrucci, ex vicepresidente dell’Acse.
Le motivazioni che hanno portato alla condanna dei tre pregiudicati sembrano condurre ad una valutazione di responsabilità anche per gli altri imputati coinvolti nel procedimento giudiziario. Il giudice Ascoli ha riconosciuto l’esistenza di un patto corruttivo per le elezioni del 2013 nelle quali fu eletto sindaco Aliberti, ma anche per le Regionali del 2015 nelle quali Monica Paolino fu eletta consigliere regionale di Forza Italia, tutt’ora in carica. A questo proposito il Gup scrive: “Quando alla competizione elettorale regionale, pacifica risulta la sussistenza di reato contestata ovvero un patto politico/elettorale/mafioso”. Nell’analisi storica dei fatti emersi sia grazie alle testimonianze sia per le prove acquisite dagli inquirenti. Per la tornata elettorale del 2013, Aliberti avrebbe fatto un patto con il clan Loreto-Ridosso che in cambio di voti gli chiesero di poter entrare – attraverso imprese apparentemente pulite – negli appalti della pubblica amministrazione. Per quelle elezioni proposero ad Aliberti la candidatura di Andrea Ridosso, fratello di Luigi, ma l’ex sindaco preferì non averlo nelle sue liste per ‘il nome’ che portava. Cosciente che sarebbe stato attaccato politicamente e mediaticamente, chiese di sostituire il nome di Andrea Ridosso con quello di un altro referente del gruppo. Fu scelto Roberto Barchiesi, zio dell’allora moglie di Alfonso Ridosso, neofita della politica che grazie al secondo posto in lista e allo scorrimento entrò subito in consiglio comunale. Ad Andrea Ridosso sarebbe andato un incarico in una cooperativa che lavorava per il Piano di Zona di cui il comune di Scafati era allora capofila. Ma qualcosa non andò per il verso giusto dopo le comunali del 2013. Aliberti nonostante avesse accettato i voti e l’nteressamento del gruppo criminale, non riusciva a rispettare i patti relativi alla concessione degli appalti. E così – secondo il giudice – rinnovando quell’accordo per le elezioni Regionali del 2015 dovette concedere poco tempo prima del voto, nell’aprile del 2015, un appalto per le pulizie all’interno dell’Acse per una ditta creata ad hoc dai Ridosso-Loreto. “Quell’appalto dell’aprile 2015 – scrive il Gup – tenuto conto della competizione in atto, distante due anni da quella precedente, caratterizzata da analogo accordo, concluso e poco o per nulla rispettato dal politico, rappresentava l’utilità di un ulteriore patto politico/elettorale/mafioso”. Secondo il giudice, Aliberti in quella fase non potette limitarsi ad offrire promesse ma dovette assicurare qualcosa di concreto ai suoi interlocutori. Per quanto riguarda le Regionali, il giudice non ha ritenuto sufficienti le prove raccolte contro Gennaro Ridosso che è stato assolto da questo capo di imputazione. Ma proprio Gennaro Ridosso è stato ritenuto colpevole di aver minacciato la giornalista Valeria Cozzolino, insieme a Nello Maurizio Aliberti, nel corso della campagna elettorale del 2013, un capo di imputazione del quale i fratelli Aliberti devono rispondere dinanzi ai giudici di Nocera Inferiore e che vede Angelo Pasquale Aliberti il mandante di un episodio di violenza privata e minacce ai danni della giornalista, messo in atto da Nello Maurizio Aliberti e Gennaro Ridosso.
I tre imputati, giudicati con rito abbreviato, sono stati inoltre riconosciuti colpevoli di estorsione ai danni degli imprenditori conservieri Aniello e Fabio Longobardi ai quali sono stati condannati a risarcire i danni. Hanno imposto alle vittime i servizi di pulizia all’interno delle proprie fabbriche, nonchè il versamento di somme di danaro per prestazioni inesistenti. Ma Aniello Longobardi fu anche costretto ad acquistare, attraverso Luigi Ridosso, partite di pomodoro prodotte da Raffaele Lupo, ex consigliere comunale e imprenditore ortofrutticolo.
Le accuse formulate dall’antimafia ai tre imputati – tranne quella che riguarda le Regionali 2015 per Gennaro Ridosso – sono tutte provate per il giudice che a luglio ha emesso la sentenza. A pesare, oltre alle prove emerse nel corso delle indagini, anche le dichiarazioni autoaccusatorie fatte in aula da Luigi Ridosso il 19 luglio scorso. “A cristallizzazione del quadro probatorio – scrive il giudice nelle motivazioni – in data 19 luglio 2018, Luigi Ridosso, nel corso dell’udienza in discussione ammetteva gli addebiti depositando memoriale con il quale si riconosceva colpevole non solo dei fatti contestati ma anche di altri oggetto di procedimento definito con sentenza di condanna il 3 maggio 2018”. Pesanti anche le pene per i due cugini Ridosso, Luigi condannato a 5 anni e 8 mesi e Gennaro a sei anni e 4 mesi, mentre per il pentito Alfonso Loreto è stata disposta una condanna ad un anno e 2 mesi, sette anni e due mesi complessivamente per la sentenza emessa a maggio.
Rosaria Federico
Articolo pubblicato il giorno 27 Agosto 2018 - 15:25