Torre del Greco. Una folla immensa ha partecipato ai funerali di Giovanni Battiloro,Matteo Bertonati, Gerardo Esposito e Antonio Stanzione i quattro ragazzi morti nel crollo del ponte a Genova. Dura l’omelia del Cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe: “Un pezzo del futuro che se ne va. Perché sono morti? Questa è la domanda. Sono vittime innocenti della natura ? No. Sono vittime di malattie incurabili? No. Erano giovani pieni di energie, forza e fiducia. Sono vittime innocenti dell’imprudenza? Neanche a pensarlo. Perché giovani rispettosi delle regole ? Vittime innocenti del destino? Ma quale destino, il destino non esiste-. Pensare alle vittime e a non ai responsabili in questo momento. Questo discorso può essere fuorviante elusivo di comodo è giusto invece che ci poniamo interrogativi e ci chiediamo perché questo è accaduto.’non per essere giustizialista’. Per il rispetto per i nostri giovani e le nostre famiglie perché ogni vita è sacra e la vita va rispettata sempre in ogni modo. Non si deve morire per negligenza incuria irresponsabilità superficialità burocratismo perchè questa è la vera violenza. E’ giusto porsi degli interrogativi, chiedersi perché è accaduto, abbiamo il sacrosanto diritto di saperlo, soprattutto nel rispetto per chi ha perduto la vita. – continua Sepe – Dobbiamo saperlo perché ogni vita è sacra. A questo punto interrogarsi significa rispettare la vita dei ragazzi. Questa è violenza contro la persona e società. Quattro giovani e tante altre persone non sono morte perché l’ha voluto il destino. Non è accettabile perché questi ragazzi e altre vittime non avevano scelto di incontrare la morte. Non si può e non si deve morire per negligenza, irresponsabilità e burocratismo. Loro sono testimonianza viva della violenza consumata dalla mano dell’uomo che porta morte. Che cosa si puo’ dire a un genitore che vive nel dolore della morte del figlio? – ha proseguito Sepe – C’e’ il loro rifiuto ad ogni tentativo di ragionamento. Solo la fede in Cristo morto e risorto puo’ essere d’aiuto”. La lunga omelia e’ stata salutata con un lungo applauso dalle migliaia di persone che gremiscono la chiesa. “Antonio, Giovanni, Matteo e Gerardo – ha concluso l’arcivescovo – restano testimonianza viva di una violenza consumata non dal destino ma dalla mano dell’uomo che si sostituisce alla mano di Dio per i propri interessi, e diventano simbolo di rinascita se tutti sapremo uniformare i nostri ruoli e i nostri comportamenti a quell’etica della responsabilita’ che e’ parte fondamentale del vivere civile e religioso”.
Emilio D’Averio
Ciro Serrapica
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