“Non vi è alcun elemento di prova che possa collegare il rapporto ‘Mafia e appalti’ all’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione di Borsellino”, come sostenuto dalle difese degli ufficiali del Ros. Piuttosto “l’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione del dottore Borsellino” fu determinata “dai segnali di disponibilità al dialogo – ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D’Amelio”. E’ quanto si legge nelle motivazioni del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, depositate oggi dal presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto, allo scoccare dei 90 giorni previsti dalla pronuncia della sentenza, avvenuta il 20 aprile scorso, con la condanna, fra gli altri, di Mori, Marcello Dell’Utri e Massimo Ciancimino. Secondo i magistrati palermitani “non vi è dubbio” che i contatti fra Mario Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, “unitamente al verificarsi di accadimenti (quali l’avvicendamento di quel ministro dell’Interno che si era particolarmente speso nell’azione di contrasto alle mafie, in assenza di plausibili pubbliche spiegazioni) che potevano ugualmente essere percepiti come ulteriori segnali di cedimento dello Stato, ben potevano essere percepiti da Salvatore Riina già come forieri di sviluppi positivi per l’organizzazione mafiosa nella misura in cui quegli ufficiali lo avevano sollecitato ad avanzare richieste cui condizionare la cessazione della strategia di attacco frontale allo Stato”. Peraltro ciò è più vero se si tiene conto, del fatto che tale indagine – mafia e appalti – “non era certo l’unica nè la principale di cui Borsellino ebbe ad interessarsi in quel periodo, che nessun spunto idoneo a collegare tra la vicenda ‘mafia e appalti’ con la morte di Borsellino è possibile trarre dalle dichiarazioni dei tanti collaboratori di giustizia esaminati e cui, per altro, la vicenda ‘mafia e appalti’ è ben nota”.
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