L’Unità Tutela Minori della Polizia Municipale, guidata dal capitano Giuseppe Cortese, porta alla luce una situazione a dir poco anomale. Partono le indagini a metà marzo quando i sanitari dell’ospedale San Paolo di Napoli segnalano al tribunale dei Minori il caso di una ragazza che dopo il parto ha bloccato le pratiche per la registrazione del bambino dicendo che il piccolo non fosse figlio del compagno. Durante gli accertamenti, come riporta Il Mattino, si scopre che la ventottenne, originaria del centro di Napoli, vive con un coetaneo di Ponticelli, pregiudicato, che a sua volta risulta sposato con una ragazza africana. La coppia ha già sei bambine, dai tre ai nove anni, e due di queste sono state riconosciute da due marocchini, pluripregiudicati e destinatari di provvedimento di espulsione, che dopo le pratiche sono scomparsi. La numerosa famiglia ha vissuto in una automobile, poi ha occupato un deposito nella zona occidentale. È un ambiente singolo con il vano di ingresso come unica apertura, nessun punto luce, in condizioni igieniche disastrose, senza acqua né luce e i servizi igienici fata eccezione di un un water al centro della stanza nascosto da una tenda. Le bambine sono denutrite, alcune hanno bisogno di cure particolari e hanno evidenti difficoltà di linguaggio e relazionali.
Consapevoli anche i genitori che in quelle condizioni le piccole non possono vivere, tentano di dileguarsi. Si trasferiscono da un parente, ma gli agenti riescono a rintracciarli di nuovo e ricostruiscono i loro spostamenti sentendo scuole e pediatri tra Napoli e provincia. Intanto il neonato è ancora al San Paolo. Il tempo scorre e resta poco per riconoscerlo ed è possibile farlo solo in ospedale o nell’ufficio comunale dove risulta residente la famiglia. Così gli agenti organizzano l’appostamento e allo scadere del termine, proprio al decimo giorno, allo Stato Civile di un comune vesuviano si presentano la donna, il compagno, il padre di lui e un marocchino, ufficialmente residente a Torino e pregiudicato. E la situazione appare subito molto chiara: il bambino, così come le due sorelle, stava per essere riconosciuto da un uomo che aveva pagato per avere un permesso di soggiorno da diciotto anni. Il neonato, affidato inizialmente alla direzione sanitaria, si trova ora presso una casa famiglia e ad aprile lo stesso provvedimento è stato preso anche per le sorelline che si trovano in una località protetta.
Articolo pubblicato il giorno 13 Luglio 2018 - 09:44