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Morti della Solfatara: il piccolo Lorenzo asfissiato per una foto alla fangaia

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Voleva scattare una foto alla fangaia della Solfatara di Pozzuoli  il piccolo Lorenzo Carrer, soffocato a 11 anni dalle esalazioni di un gas venefico tipica manifestazione delle fumarole che si era addensato nella cavita’ dov’e’ precipitato, apertasi sotto i suoi piedi, quel tragico 12 settembre 2017, a causa dell’attivita’ erosiva dell’attivita’ vulcanica. Per salvarlo sono morti prima il padre, Massimiliano, e poi la madre Tiziana. Tutti vittime dell’H2S, sotto gli occhi dell’altro figlio della coppia, di 7 anni, l’unico sopravvissuto della famiglia. E’ una zona estremamente pericolosa quella dov’e’ accaduta la tragedia. Ed era aperta al pubblico e percorribile. La crosta di terreno sulla quale i Carrer, e chissa’ quanti prima di loro, stavano camminando, era sottile e fragile, a causa dell’ erosione interna e, forse anche dalle intense piogge del giorni precedenti. Massimiliano si e’ calato in quella cavita’ per salvare il figlio, ma il gas l’ha ucciso; la moglie, Tiziana Zaramella, ha cercato di tendere una mano al marito e poi quando si e’ resa conto che cosi’ non poteva salvarlo, si e’ calata anche lei, inalando l’H2S e perdendo cosi’ la vita. La societa’ che gestisce il vulcano Solfatara, emerge della perizie della Procura di NapoliI, era a conoscenza della pericolosita’ rappresentata dalla presenza dei gas e della possibile apertura di voragini. Ciononostante non c’erano norme di sicurezza che avrebbero potuto salvare la vita alla famiglia Carrer, ai dipendenti in servizio, ai vulcanologi che li’ hanno strumenti per rilievi geotermici. Nell’area, ampia circa un chilometro quadrato, inoltre, c’e’ anche un camping e un punto ristoro. Anche queste due strutture erano altamente esposte a rischi. Nel 2004, inoltre, sempre secondo quanto emerge dall’attivita’ di indagine degli inquirenti, coadiuvata da esperti del settore, c’era stato un altro crollo, proprio nello spesso punto dove e’ morta la famiglia Carrer. I dipendenti, inoltre, ogni qualvolta si apriva una cavita’, la riempivano con materiale di risulta. Interventi “artigianali”, talvolta anche peggiorativi come il posizionamento a terra di pali di delimitazione che acceleravano di sgretolamento del suolo in quanto determinavano un ristagno di acqua. Non ultimo, i mezzi di soccorso erano impossibilitati all’ingresso nella struttura a causa dell’inaccessibilita’ del varco.


Articolo pubblicato il giorno 23 Luglio 2018 - 21:10

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