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L’esame del sangue dirà quanto vivremo: lo studio di un team dell’Università di Yale

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Un tema difficile da affrontare che divide quanti scaramanticamente non vorrebbero mai saperlo da quanti invece pretendono di tenere tutta la sua vita sotto controllo, compreso la data di morte.
Stabilire quanto ci resta da vivere è, da tempo, una delle grandi sfide della ricerca e l’ultimo studio in materia è quello di un team americano dell’Università di Yale che, grazie a nove marker biologici presenti nel sangue, sostiene di riuscire a valutare la speranza di vita di una persona, identificando una serie di fattori di rischio nel suo stile di vita. I ricercatori si basano dunque su questi nove biomarcatori per calcolare l’età biologica di una persona, che viene poi confrontata con quella anagrafica, come riporta il Guardian (dati diffusi online su Biorvix). Se questa età biologica (o fenotipica) è più alta di quella reale, l’individuo invecchia più velocemente della media e presenta dunque più rischi di contrarre malattie e morire prematuramente.”Viene misurata l’età da un punto di vista fisiologico”, spiega al Guardian Morgan Levine, patologa dell’università di Yale e coautrice dello studio. “Si può avere sessantacinque anni ma averne settanta fisiologicamente, quindi con un rischio di mortalità di un settantenne”. Una differenza che si può verificare anche in persone in buona salute. Per mettere a punto il test, gli scienziati hanno studiato quarantadue diversi parametri clinici, tra cui la conta dei globuli bianchi o livelli di glucosio e di albumina nel sangue, correlati a cartelle cliniche, indicazioni sullo stile di vita e registri di morte dei pazienti. Inizialmente, hanno utilizzato i dati di diecimila persone per identificare i parametri più legati all’aspettativa di vita. Dopo aver identificato nove marker biologici, hanno sviluppato il test che hanno eseguito su altre undicimila persone. I ricercatori hanno dunque osservato che più l’età biologica era alta rispetto a quella reale, più era alto il rischio di morire prematuramente. Inoltre, è stato constatato che le donne sembravano invecchiare più lentamente. Il test può anche fornire informazioni su ciò che contribuisce all’invecchiamento.
“Il più grande vantaggio di tutto ciò, è di riuscire a capire se qualcuno è ad alto rischio, e prendere tutte le precauzioni contro l’insorgenza di una certa malattia”, conclude Levine.


Articolo pubblicato il giorno 10 Luglio 2018 - 13:46

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