Ha vissuto per anni all’interno della famiglia Casamonica e quindi e’ stata “in grado di tracciarne perfettamente l’organigramma”. Ha fornito elementi preziosi, ricostruzioni su vicende vissute in prima persona, come testimone oculare. La maxioperazione della Dda di Roma che ha portato all’arresto di 33 persone, tutti appartenenti al clan di Roma est, si basa anche sulle confessioni di un collaboratore di giustizia, il primo nella storia criminale del clan capitolino. Si tratta dell’ex compagna di Massimiliano Casamonica, fratello del boss Giuseppe. La donna, madre di tre figli, era invisa alle mogli degli altri componenti del clan perche’ non sinti. Tenuta segregata, e’ riuscita a fuggire da quella realta’ e ha deciso di denunciare e collaborare con gli inquirenti. Ora la ‘pentita’, che ha meno di 40 anni, gode di un programma di protezione assieme ai figli. “La donna ha riferito – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – che del sodalizio fanno parte Massimiliano Casamonica e tutti i suoi fratelli e le sorelle, esclusa Marianna. Inoltre ha riferito che elementi di vertice del clan sono Giuseppe Casamonica e la sorella Liliana, detta Stefania”. Nel provvedimento sono citati anche stralci dei suoi colloqui con gli inquirenti dai quali emerge la capacita’ di intimidazione del gruppo criminale. “Loro sono perfettamente consapevoli di avere un notevole potere intimidatorio – fa mettere a verbale la collaboratrice di giustizia- che esercitano nelle loro attivita’. Incutono notevole timore e nessuno li denuncia mai”. E ancora: “La famiglia Casamonica costituisce un gruppo numeroso, e’ un vero e proprio clan, stabilmente dedito ad attivita’ illecita”. Per la collaboratrice di giustizia siamo in presenza di persone “che si aiutano reciprocamente per ogni tipo di esigenza, anche se c’e’ da picchiare qualcuno”. Il racconto della donna spesso e’ risultato prezioso perche’ ha descritto episodi di “quotidiana violenza”. “Ricordo che in una occasione – afferma – un ragazzo fu condotto da Salvatore Casamonica all’interno dell’abitazione di Giuseppe e massacrato di botte dai fratelli. Si sentivano distintamente il rumore degli schiaffi e le urla di questo ragazzo. Dopo un po’ svenne e tutti temevano che fosse morto”. L’attivita’ di indagine non si e’ basata solo sulle dichiarazioni della cognata del boss ma anche su quanto dichiarato da un altro soggetto, un calabrese residente da anni nella Capitale, che per il gruppo avrebbe curato interessi legati al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Anche in questo caso l’uomo, non un componente interno alla famiglia, avrebbe fornito a chi indaga elementi utili soprattutto per delineare il ruolo dei capi all’interno dell’organizzazione. “Prima di tutto va detto che siamo in presenza di un gruppo che ha una grande disponibilita’ di armi – racconta il collaboratore agli inquirenti – So che sono tutti armati”. Gli appartenenti al gruppo, a detta del collaboratore, continuano ad avere in Vittorio Casamonica, il padrino morto nell’agosto del 2015 ed omaggiato con un funerale sfarzoso, un punto di riferimento. “Era un pezzo da novanta a livello di tutto – aggiunge – A livello di forze dell’ordine, di Vaticano, lui entrava dappertutto: qualsiasi cosa gli serviva la otteneva”.
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