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Il figlio del boss si pente e svela i segreti delle piantagioni di cannabis

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Sono 18 gli arresti, fra detenzione in carcere e arresti domiciliari, eseguiti dalla polizia nell’ambito dell’operazione “Giardini segreti” contro il narcotraffico e la coltivazione di marijuana. Alla base dell’operazione, coordinata dal pm della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci, c’e’ la recente collaborazione con la giustizia di Emanuele Mancuso, 30 anni, di Limbadi, ma residente a Nicotera, figlio del boss della ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso, 57 anni, detto “l’Ingegnere”, esponente di spicco dell’omonimo clan. Emanuele Mancuso avrebbe acquistato su un sito internet i semi di marijuana e il fertilizzante utile per impiantare vere e proprie piantagioni di canapa indiana nel Vibonese. La polizia ne ha sequestrate tre a Joppolo, Nicotera e Capistrano. Dalla vendita al dettaglio dello stupefacente, Emanuele Mancuso, che avrebbe guidato un gruppo costituito dal oltre 20 indagati, avrebbe guadagnato 20 milioni di euro circa. Un’inchiesta che conduce dritta al cuore di traffici che valgono milioni di euro e immettono denaro fresco nelle casse dei clan. E li spingono anche a riciclarsi, ad aggiornare il proprio know how. È il caso di Emanuele Mancuso, rampollo della famiglia di Limbadi e figlio di Pantaleone “l’Ingegnere”. Ora è il primo pentito nella storia della cosca, fino a qualche tempo fa era un broker della droga. Non nel senso classico – come capita a chi tratta gli affari con i cartelli sudamericani –: era, però, un grande esperto di coltivazioni. “Comprava i semi dal sito hempatia.com – spiega il capo della Squadra mobile Giorgio Grasso –, gestito da una società con sede a Genova e altre sedi secondarie in tutta Italia, al cui titolare è stato contestato il reato di istigazione a delinquere. La delocalizzazione delle attività ha portato all’impiego di oltre 200 uomini della Polizia e a perquisizioni in tutto il Paese”. Il network dell’oro verde “gestiva tutte le fasi, dai semi alla coltivazione, fino a taglio, essiccazione e vendita. E lo smercio non era concentrato soltanto a Vibo ma anche in altre zone d’Italia, come la provincia di Viterbo e la Puglia. L’attività ha portato al sequestro di svariati chilogrammi di marijuana”.

È il ruolo Emanuele Mancuso il fulcro dell’inchiesta. Prima come “direttore generale” della filiera, poi come pentito. Il passaggio è sottolineato da Nicola Gratteri, procuratore capo della Dda di Catanzaro che ha coordinato le indagini. “Quando l’indagine era quasi definita è arrivato colpo di fortuna: il pentimento del rampollo dei Mancuso. Emanuele – dice il magistrato – è uno specialista, io non ho mai visto uno più esperto nella tecnica di coltivazione della marijuana. Sembra un agronomo, conosce anche i sistemi di coltivazione indoor. Ci ha dato un saggio delle sue conoscenze. Le sue dichiarazioni hanno chiuso il cerchio”. Il magistrato estende il proprio ragionamento, toccando il dibattito sulla legalizzazione della marijuana. “Tra gli arrestati – evidenzia – c’è una ragazza devastata dal punto di vista cerebrale dall’uso della marijuana”. Poi il procuratore capo della Dda di Catanzaro affronta il tema delle falle della legislazione, nelle quali la criminalità riesce a inserirsi: “È la prima volta che si riesce a oscurare un sito internet da cui si potevano comprare migliaia di semi. Inoltre sono stati sequestrati dodici negozi che vendevano semi all’ingrosso – che Mancuso rivendeva – spacciandoli come semi da collezione. Sono tutte, queste, ipocrisie consentite dalla legge”. Gratteri ha poi allargato il campo al lavoro di squadra portato avanti per chiudere il cerchio attorno all’organizzazione: “Mi ritrovo a lavorare con il questore Andrea Grassi, con cui in passato abbiamo effettuato indagini importanti sul narcotraffico tra l’Italia gli Stati Uniti. Quella di oggi è un’inchiesta particolare, perché con la collega Frustaci la mobile di Vibo ha completato una ricostruzione storica delle piantagioni nella provincia, comprendendo che dietro ai traffici c’erano la stessa mano e le stesse tecniche di coltivazione. Seguendo queste tracce si è riusciti ad andare più in profondità e a capire l’origine degli strumenti usati e dei semi”. E proprio il questore Grassi ha ringraziato Gratteri: “Sono fiero e contento della presenza del procuratore; qualifica la bontà di questo lavoro e dà un segnale di vicinanza alla polizia di Vibo Valentia. Al di là dei numeri, questa inchiesta dimostra caratteristiche inedite di questa indagine che qualifica un lavoro andato avanti per diversi mesi e concluso oggi”.  Cristian Maffongelli, vice capo della Mobile ha puntato l’attenzione sull'”altissima professionalità nelle strutture delle coltivazioni, erano piantagioni 3.0. Ed Emanuele era il capofila di una rete di produzione massiva”. Il sito oscurato, ha detto, “non aveva alcuna capacità di controllo sull’utente, per cui Mancuso poteva utilizzare generalità fittizie. E online era possibile acquistare non solo semi ma anche accessori per la coltivazione”. L’indagine ha portato al sequestro di sei piantagioni tra Capistrano, Nicotera e Joppolo. E costituisce il primo banco di prova per l’attendibilità del nuovo pentito, il primo che abbia mai deciso di collaborare con la giustizia in uno dei clan più potenti della Calabria. Lo ribadisce il procuratore Gratteri: “Questa è la prima messa in prova di dichiarazioni di Mancuso, siamo soddisfatti della sua credibilità”.


Articolo pubblicato il giorno 21 Luglio 2018 - 17:20


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