Scafati. Scambio di voto politico mafioso e estorsioni: confessa Luigi Ridosso jr, il figlio del boss ucciso e deposita un manoscritto nel quale definisce le sue colpe. La confessione di Luigi Ridosso, 32enne cugino di Gennaro Ridosso e fratello di Andrea, sconvolge equilibri che sembravano consolidati nel processo Sarastra che vede imputati l’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, la moglie Monica Paolino, il fratello Nello Maurizio Aliberti, l’ex consigliere Roberto Barchiesi, Giovanni Cozzolino e Ciro Petrucci, con le accuse di scambio di voto per le elezioni amministrative del 2013 e le regionali del 2015 con il clan Ridosso-Loreto. Stamane, nel processo che si sta celebrando dinanzi al giudice per le udienze preliminari Emiliana Ascoli, Luigi Ridosso – difeso dall’avvocato Michele Sarno – ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee ed ha poi depositato nelle mani del giudice un manoscritto nel quale ammette le sue responsabilità, sia in merito al patto politico-mafioso fatto dal gruppo criminale, di cui era uno dei capi, con i politici scafatesi e in particolare con l’ex sindaco, sia in merito alle estorsioni agli imprenditori. Una confessione inaspettata che ‘inguaia’ di converso anche i politici coimputati nel processo che si sta celebrando dinanzi ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore. Una sorta di dissociazione, per il momento, che avalla le accuse finora mosse dalla direzione distrettuale antimafia di Salerno a politici, in primis ad Angelo Pasqualino Aliberti, e a camorristi. Luigi Ridosso è il fratello di Andrea, il giovane che – secondo le accuse – avrebbe voluto un posto di candidato nella lista Grande Scafati alle amministrative del 2013. Incensurato, avrebbe dovuto curare gli ‘affari’ di famiglia scendendo in politica – secondo quanto sostiene l’antimafia – ma la sua candidatura fu negata dall’allora sindaco Aliberti per il suo nome ‘pesante’. Al suo posto fu scelto Roberto Barchiesi, ex zio di Alfonso Loreto, oggi pentito. Il patto voti-favori agli uomini del clan Ridosso-Loreto, accettato da Aliberti, permise – secondo quanto contestato agli imputati – l’ingresso delle ditte, apparentemente pulite, dell’organizzazione criminale nelle maglie dell’amministrazione pubblica. Luigi Ridosso, insieme al cugino Gennaro, si occupò di promuovere oltre la lista di riferimento del gruppo criminale anche Monica Paolino, candidata al consiglio Regionale del 2015, promuovendo incontri elettorali – tra i quali uomo a casa della zia Anna Ridosso – e sponsorizzando la candidata. In cambio il gruppo di giovani rampolli di boss della vecchia guardia avrebbe beneficiato di favori e posti di lavoro, oltre ad ottenere incarichi nella pubblica amministrazione come quello affidato a Ciro Petrucci, vicepresidente dell’Acse e grande amico di Luigi Ridosso, con il quale gli inquirenti hanno accertato decine di telefonate, in particolare nel periodo della campagna elettorale per le Regionali. Il giovane pregiudicato, figlio di Salvatore Ridosso ucciso in un agguato camorristico nel maggio del 2002, aveva seguito le orme del padre e insieme ai cugini Gennaro e Luigi – figli di Romolo Ridosso – e ad Alfonso Loreto (figlio di Pasquale) si era messo a capo dell’organizzazione che oltre ad occuparsi di estorsioni e usura cercava di fare il salto di qualità attraverso società schermo nelle quali reinvestire i proventi criminali.
Nel processo che si sta celebrando dinanzi al Gup Emiliana Ascoli, il pubblico ministero Vincenzo Montemurro ha chiesto per Luigi jr una condanna a cinque anni di reclusione con rito abbreviato: per le accuse di scambio di voto politico-mafioso con la famiglia Aliberti e estorsione ai danni di industriali conservieri scafatesi. Contestualmente alle ammissioni di responsabilità e al deposito del manoscritto, la difesa di Luigi Ridosso ha presentato al giudice un’istanza di scarcerazione agli arresti domiciliari. Il colpo di scena non sarà privo di conseguenze per l’intera inchiesta Sarastra, curata dalla Dia di Salerno, con il coordinamento della Procura antimafia di Salerno. Dopo il pentimento di Alfonso Loreto, l’ammissione di colpa di Luigi Ridosso conferma l’intero impianto dell’accusa, nonostante gli altri imputati si siano sempre difesi negando quel patto scellerato tra politica e camorra e avalla la ricostruzione fatta da testimoni e inquirenti nel corso delle indagini.
Resta un irriducibile Gennaro Ridosso – nonostante le défaillance dei suoi familiari e in particolare del padre Romolo, collaboratore di giustizia – per il quale la Procura ha chiesto una condanna a 4 anni e sei mesi di reclusione. Stamane, il suo avvocato Dario Vannetiello ha tenuto la sua arringa difensiva, riservandosi di depositare nei prossimi giorni una memoria. Attende la sentenza anche Alfonso Ridosso, pentito, per il quale la pubblica accusa ha chiesto un anno di reclusione in continuazione con la precedente condanna per associazione per delinquere. La sentenza del Gup Ascoli, per i tre imputati, è prevista per lunedì.
Rosaria Federico
Articolo pubblicato il giorno 19 Luglio 2018 - 19:39