Chiamate cellule APC, acronimo di Antigen-Presenting Cell, ovvero “cellule che presentano l’antigene”, le cellule dendritiche (DC) una volta attivate migrano nei linfonodi dove spingono le cellule T e B del sistema immunitario a innescare la reazione. Nell’artrite reumatoide il processo “impazzisce”, e invece di difendere l’organismo queste cellule sono spinte ad aggredire i tessuti delle articolazioni, gli organi e le ossa, producendo inoltre anticorpi patologici.
Isolando cellule dendritiche dal fluido sinoviale, dal sangue e dalle articolazioni di alcuni pazienti malati di artrite reumatoide, i ricercatori hanno scoperto che oltre a sviluppare le molecole infiammatorie sono ricche di MiR34a, in particolar modo in quelli allo stadio iniziale della malattia. Questa molecola è in grado di sopprimerne un’altra che regola l’azione delle cellule dendritiche, la AXL, che è carente nei pazienti affetti da artrite reumatoide. Sfruttando queste conoscenze in alcuni esperimenti sui topi, gli scienziati hanno scoperto che sopprimendo MiR34a gli animali riescono a sviluppare una vera e propria resistenza all’artrite reumatoide.
Attraverso farmaci mirati – alcuni dei quali già in sperimentazione – in grado di inibire questo interruttore molecolare anche negli esseri umani sarà dunque possibile “ristabilire l’equilibrio immunologico e promuovere la risoluzione dell’artrite”, come ha sottolineato con ottimismo il professor Ferraccioli.
Articolo pubblicato il giorno 15 Luglio 2018 - 12:12