“Non c’è tempo” di Gabriele Petti. Vi è mai capitato di leggere un libro in cui il dolore più struggente, depauperante e annichilente come la perdita di una persona cara, si sposa con la leggerezza e il sorriso?
E di leggere dicendovi “perché?” e “apperó” senza soluzione di continuita, perché sotto i vostri occhi, in quelle pagine, c’è così tanta vita(lità) da farvi arrabbiare di fronte al destino crudele, ma meravigliarvi anche per come si possa allegramente divorare l’esistenza?
Leggete “non c’è tempo”, conoscerete Peppe.
Peppe, il protagonista di “non c’è tempo “, in poco tempo, da subito, fortemente ha vissuto. Lo vediamo voler andare lontano ancora bimbo, amare tante ragazze e girare il mondo. Curioso e mai stanco di esserlo, quasi da farci vergognare delle nostre giornate “divanesche” e dei “a me poi cosa interessa?”.
Peppe, poi, a un certo punto.
Il libro va letto perché, oltre al fantastico protagonista, è una lezione di eleganza del dolore, di resistenza ad esso con “grazia”.
Tutti soffriamo, tutti sopravviviamo (più vuoti? Più pieni?storti o dritti?), e nessuno può giudicare quantità o qualità, ma quando il dolore non è patetico, allora “tutti in piedi “.
Troppo spesso si dimentica il contegno, quasi il pudore del dolore: l’autore ce ne dá una lectio magistralis. E io per ora, ringrazio commossa e sorridente.
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