Anche Marcello De Rosa, sindaco di Casapesenna, si scaglia contro don Michele Barone. Salirà sul banco dei testimoni per ripetere accuse molto gravi sul prete esorcista, considerato un santo dai suoi fedelissimi e un “abusatore” dalla Procura.
Di quel prete conosciuto, apprezzato e famoso anche oltre i confini nazionali, frequentatore di salotti televisivi, sta venendo fuori, dopo il suo arresto, un profilo inquietante. In molti infatti si stanno muovendo per raccontare fatti e misfatti, veri o presunti, che avrebbero avuto per protagonista il sacerdote che, senza autorizzazione della Diocesi di Aversa, avrebbe sottoposto decine di persone a rituali esorcistici in alcuni casi molto violenti. Tra i verbali depositati dai pm c’è quello firmato dal sindaco del Comune in cui Barone è nato e cresciuto e dove hanno sede la Piccola Casetta di Nazareth, che gestisce il tempio Mia Madonna mia Salvezza e la piccola cappella – ora chiusa – in cui si sarebbero tenuti gli esorcismi. In un interrogatorio del marzo scorso, il sindaco De Rosa racconta l’episodio di un aborto: “Una decina di anni fa, don Barone fu allontanato da Casapesenna per via di uno scandalo che lo vide coinvolto in una relazione con una ragazza del posto che rimase incinta e fu costretta ad abortire contro la sua volontà”. Secondo De Rosa per costringere la ragazza a rinunciare al bambino “intervennero alcuni esponenti del clan Zagaria, ai quali si rivolse don Michele Barone”. “Trascorse i successivi cinque anni in esilio a Roma e fu poi reintegrato alla Piccola Casetta di Nazareth”.
Il sindaco De Rosa non conosce il nome della ragazza, ma tra i testimoni c’è una donna di Casapesenna che sostiene di avere avuto una lunga relazione amorosa con don Barone. Si tratta della stessa ragazza che ha dichiarato, qualche mese fa, di essere stata obbligata a interrompere la relazione con Barone “dopo che i parenti camorristi del sacerdote si presentarono dai miei genitori e riferirono loro che, se non avessimo troncato, ci sarebbero state conseguenze gravi”. Di parenti camorristi de prete, ad oggi, si ha notizia certa di uno soltanto, suo omonimo, oggi collaboratore di giustizia la cui versione è diversa sia da quella del sindaco che da quella della ragazza e risale ai primi anni 2000. “Mio cugino perse la testa per una ragazza e suo padre venne da me e mi chiese di mettere le cose a posto. Quindi andammo da lui io e un’altra persona e lo picchiammo affinché scegliesse che vita fare: se andare con le donne o fare il prete. Ricordo che gli demmo sette o otto schiaffi, finse di cambiare vita ma poi continuò come prima”.
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