Uno dei temi affrontato dal nuovo governo del professor Giuseppe Conte, e che maggiormente sta creando discussione in ambito forense, é la possibile introduzione in fase di indagini penali del cosiddetto agente provocatore. Sul tema riceviamo e volentieri pubblichiamo la nota dell’avvocato Elio D’Aquino, noto penalista del territorio, più volte presidente della Camera Penale di Torre Annunziata.
“Il nuovo governo, guidato dal prof Giuseppe Conte, propone, tra l’altro, nell’ambito della scelta dei metodi di contrasto ai reati contro la P.A, di introdurre una disciplina normativa che istituisca la figura del cosiddetto agente provocatore. Pur nel rispetto di un programma che risponde, a mio avviso, alle effettive esigenze della maggioranza dei cittadini, sul punto avanzo più di una perplessità e auspico sinceramente che ci possa essere un serio ripensamento. Nel mentre si può discutere sulla figura dell’infiltrato (che non ha il compito di suscitare il reato con la sua condotta, ma di disvelare fatti criminosi già in itinere), e verificare se è percorribile estendere anche ai reati contro la P.A un tale metodo di ricerca della prova, è fuorviante immaginare una figura a cui è demandato il compito di incitare al reato!
Un metodo di indagine che consista nell’istigare la corruzione per combatterla è contrario sia ai nostri principi costituzionali sia ai più generali orientamenti della Corte di Strasburgo. Più specificamente la figura dell’agente provocatore si pone in contrasto con la libertà di autodeterminazione della persona, e con quanto sancito dall’art.111 della Costituzione (le regole del giusto processo). Inoltre è assolutamente in antitesi con quanto sancito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, nelle diverse pronunce sul tema, ritiene non solo punibile l’operatore sotto copertura, ma finanche considera inutilizzabili gli elementi probatori eventualmente raccolti.
Il compito della giustizia penale è punire coloro che hanno commesso reati, e non coloro che si mostrano propensi a commetterli. In quest’ultimo caso si finirebbe paradossalmente per voler giudicare l’indole umana, i cui confini tra bene e male sono meno indissolubili di quanto vogliono far credere manichei o puristi dell’ultim’ora, e si aprirebbero scenari inquietanti e distruttivi, privi di moralità istituzionale, fino alla minaccia delle stesse fondamenta su cui poggia la nostra democrazia.
Al centro del processo penale c’è l’uomo con le sue fragilità e le sue contraddizioni.
“Per giudicare un uomo bisogna almeno conoscere il segreto dei suoi pensieri, delle sue sventure, delle sue emozioni”, ci ricorda Balzac.
Poiché questo non è possibile, meglio ricorrere alla più antica delle virtù: l’umiltà.
Va bene dunque esercitare la giustizia con equità, tutelare la collettività da soprusi, lottare criminalità e corruzione.
Ma voler giudicare l’animo umano, no! Questo è un po’ troppo!”.
Elio D’Aquino
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