Cronaca

Anche acqua contaminata per spegnere gli incendi alle falde del Vesuvio: 5 arresti

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Anche acqua contaminata e’ stata utilizzata durante l’estate di un anno fa per spegnere gli incendi che avevano interessato le falde del Vesuvio. E’ quanto emerge da un’inchiesta sul traffico illegale di rifiuti e loro riutilizzo in Campania condotta dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale che ha portato a cinque ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari. Si tratta dei gestori del sito in ricomposizione ambientale di Comiziano  e dei titolari della Edil Cava Santa Maria La Bruna srl. Nel primo caso, Giovanni Apostolico, Francesco Apostolico e Isidoro Tanagro; nel secondo caso i fratelli Antonio e Filippo Di Ruocco. Dei cinque, il solo Tanagro non e’ stato rintracciato in quanto risulta al momento all’estero. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip del Tribunale di Napoli su richiesta della procura distrettuale della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito di una indagine che rappresenta la prosecuzione di analoga manovra investigativa che nel maggio del 2016 aveva interessato le cave San Saverino Ricomposizioni Ambientali e Neos. All’operazione di oggi ha preso parte anche personale della Polizia Metropolitana di Napoli, in collaborazione con i Comandi provinciali carabinieri di Napoli, Caserta e Salerno.

L’attivita’ – sviluppata dal novembre 2016 al settembre 2017 – riguarda il traffico organizzato di rifiuti che sono stati convogliati nella cava in ricomposizione ambientale Apostolico e Tanagro di Comiziano ed i conseguenti delitti di inquinamento e tentato disastro ambientale. In particolare le attivita’ investigative svolte congiuntamente dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale e dalla Polizia Metropolitana di Napoli hanno permesso di stabilire come gli indagati, al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel ritorno economico di non sopportare i costi dovuti ordinariamente per lo smaltimento dei rifiuti presso siti autorizzati, con piu’ operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi ed attivita’, gestivano abusivamente ingenti quantitativi – quantomeno 72.500 tonnellate – di rifiuti. I rifiuti in questione tra l’altro venivano prelevati da vari siti, tra cui i cantieri che la societa’ CMV SCARL ha allestito per la realizzazione della Metropolitana di Napoli (tratta Corso Garibaldi/Capodichino). Infatti, i rifiuti speciali non pericolosi, dopo essere stati fittiziamente trattati dall’impianto di recupero rifiuti inerti della societa’ Edilcava Santa Maria La Bruna srl, dei fratelli Di Ruocco, venivano inviati, quale semplice sabbia da recupero, presso il sito in ricomposizione ambientale di Comiziano della societa’ Apostolico & Tanagro. Tale procedura illecita ha consentito un guadagno per la societa’ Apostolico & Tanagro pari quantomeno – stimano gli investigatori – a 217mila euro (incasso ricevuto per la commercializzazione dei suddetti rifiuti che non potevano introitare presso il citato sito) e per la societa’ Edilcava Santa Maria La Bruna srl di circa 580mila euro (pari al risparmio dovuto per il mancato smaltimento dei suddetti rifiuti presso idonei siti). Nello stesso ambito investigativo, agli indagati sono stati contestati anche i reati di inquinamento e tentato disastro ambientale, introdotti con la l.n. 68/15, “perche’, in concorso tra loro e con un funzionario del Genio Civile della Regione Campania cagionavano la compromissione dell’acqua di falda e del suolo del sito Comiziano per la presenza – accertata dalle analisi di laboratorio – di ingenti quantitativi di cromo, idrocarburi ed amianto”.

Le indagini hanno inoltre dimostrato come la cava Apostolico & Tanagro era stata oggetto di diversi provvedimenti amministrativi, istruiti dall’Ufficio del Genio Civile della Regione Campania, e che taluni di essi erano in contrasto con la normativa di settore. Di fatto – dicono gli investigatori del Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale -, cio’ che balza agli occhi e’ che “nel tempo e’ stato aumentato il volume da sfruttare con l’abbancamento di materiali (nella misura di un milione di metri cubi); e’ stato autorizzato tale sversamento proprio su particelle che nel passato gia’ erano state oggetto di estrazione e ricomposizione ambientale, senza che fosse stato presentato il previsto progetto e senza un previo sopralluogo volto a verificare lo stato dei luoghi ed appurare se e quanto nel frattempo le particelle fossero state gia’ riempite; infine, sono state inspiegabilmente ampliate le categorie di materiali per la ricomposizione, includendo quelle provenienti da impianti di recupero rifiuti e terre e rocce da scavo”. Anche in questo caso l’ampliamento delle categorie di materiali “e’ stato disposto senza l’effettuazione di sopralluoghi o la presentazione del prescritto progetto. Appare opportuno sottolineare che l’area di quelle particelle era gia’ stata del tutto sfruttata tanto che la falda era affiorata e si era formato un laghetto della profondita’ di circa 5 metri per una superficie di oltre 30mila metri quadrati. In sostanza il Genio Civile, autorizzando l’attivita’ di ricomposizione ambientale su quelle particelle, ha consentito che fossero sversati materiali (in realta’ rifiuti) nell’acqua di falda”. Tale stato dei luoghi “e’ inconfutabilmente dimostrato anche dalle ortofoto del 2006 e del 2014”. E quell’acqua contaminata del laghetto e’ stata utilizzata nell’estate 2017 per domare i roghi sulle falde del Vesuvio, e “ne consegue la contaminazione anche di matrici ambientali in zone protette, sottoposte a vincolo paesaggistico”. E alla luce degli elementi emersi nel corso delle indagini, ecco i provvedimenti restrittivi – ai domiciliari – disposti dall’autorita’ giudiziaria.


Articolo pubblicato il giorno 20 Giugno 2018 - 22:05

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