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Nocera Inferiore: Pirandello secondo Artenauta (di Isabella Tramontano)

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‘La vita cambiata’, 11 maggio, compagnia Artenauta Teatro, regia Ronga, direzione artistica Tortora. Un omaggio a Pirandello, o meglio, un nuovo lavoro ‘pirandelliano’. Immaginate di prendere tre abiti, tagliarli e con alcune parti di essi farne un altro: è un abito nuovo.
‘Uno nessuno e centomila’, ‘il figlio ritrovato’ e ‘sei personaggi in cerca d’autore’ – zac zac, cuci cuci – : ‘la vita cambiata’.
Come palliettes l’immaginario di Pasolini in ‘uccellacci uccellini’, una struggente riproduzione de ‘la pietà’ michelangelesca, ‘la tempesta’ di greenaway. Un’opera nuova, onirica, colta. Bella da ‘guardare’ attenti.

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Parlarne vuol dire farsi domande con le quali le letture attente di Pirandello ci hanno già messo a confronto.
Il sipario si apre sulle madri, luttuose, alla ricerca del proprio figlio, perso o scambiato non conta poi granché.
Sono tutte identiche le madri in scena, nere e velate, perché la maternità realizzata e poi incompiuta ha un solo volto, quello della mutilazione, della sottrazione di sé. E le si vede gridare, cercare e recriminare, con la rabbia che solo una madre sa provare.
Arrabbiate con chi? Col ‘capocomico’ o – per me – il sarto, che aiuta lo spettatore ad orientarsi, con la sua bombetta e la margherita d’ordinanza all’occhiello. Chiede quale storia possa mai essere quella di una mamma che come in una nenia cerca il figlio. E verrebbe da alzarsi e rispondergli che non c’è storia più raccontabile di quella di un abbandono, chiunque sia l’abbandonato o la ragione per cui.
Si slitta, fluidi in ‘sei personaggi in cerca d’autore’ con un Totti Pacileo quasi Pasoliniano e in ‘uno nessuno e centomila’ con una sensualissima Patrizia Fedele.
Ed eccoci a quelle domande a cui Pirandello non seppe rispondere e nemmeno noi: quelle sull’identità.
Con una scenografia mefistofelica ed agitata, meglio ‘agitosa’, un uomo con la tuba e una donna in rosso, netti, ci parlano di noi, di chi siamo, di come appariamo e come sembriamo.
Parentesi: Il pubblico del teatro dovrebbe andare a teatro in pigiama secondo me certe volte, per non trovarsi ‘fregato’ da queste domande. O indossare le maschere bianche con cui ricompaiono Le Madri.
Bianche come l’abito del Luigi Pirandello che rincontra la madre. Entra in scena, ‘creato’ e disperato, si inginocchia a questa madre della cui morte non si fece (realmente) mai una ragione. Se Pirandello fosse stato una donna, avrebbe avuto le stesse sonorità delle Madri. E lei, la sua mamma, con la stessa voce delle nostre stavolta, è contenitiva, balsamica, consolatrice e consolata.

Sipario.

Una bella emozione, perché tutte le volte che ci si chiede chi siamo?, ricordiamo una madre -la nostra -, e tutte le volte che a una donna chiedi ‘ lei chi è?’-se madre – ti risponderà: ‘sono una mamma’.
E se ci domandiamo perché siamo come siamo nel mondo, quanto ci tradiamo o quando siamo fedeli a noi stessi, ci sarà sempre quel filo rosso che a principio era il cordone ombelicale.
E se siamo ‘centrati’ o in cerca di una identità, se siamo compiacenti o irresponsabilmente noi stessi sempre, se siamo immaginabili o reali, se la nostra storia è degna di essere messa in scena dal capocomico di turno, la risposta è tutta nel momento in cui la domanda ce la facciamo.
Nel momento in cui, come madri o come figli, a quel legame ci inginocchiamo. E poi ci rialziamo e andiamo via a scrivere la nostra di vita, reale o immaginaria che sia.

Ringraziando i padri che ci hanno fatto con quelle donne.
(Isabella Tramontano)


Articolo pubblicato il giorno 14 Maggio 2018 - 10:16


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