Cronaca Giudiziaria

La Cassazione ha deciso: fine pena mai per Vincenzo Russo, fu lui ad uccidere il tatuatore innocente

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Fine pena mai per Vincenzo Russo o’ luongo. Per la Cassazione fu lui ad uccidere la sera del 2 febbraio del 2010 a Casavatore sull’uscio del suo negozio di tatuaggi. Gianluca Cimminiello, vittima innocente della  barbarie camorristica del clan Amato-Pagano. Si chiude così almeno che secondo la sentenza definitiva, fece fuoco contro il giovane reo di aver picchiato alcuni esponenti degli “scissionisti” di  Melito e tra questi un nipote del boss Cesare Pagano che era andato insieme ad altri complici a dargli una lezione per una banalissima e maldetta questione di gelosia di un altro tatuatore legato al clan. Cimminiello infatti aveva postato sul proprio profilo Facebook una foto che lo ritraeva insieme al Pocho Ezequiel Lavezzi, ex idolo del Napoli che era andato da lui a farsi fare un tatuaggio. Vincenzo Noviello cognato del boss Cesare Pagano.  voleva costringere  Cimminiello a far rimuovere la foto postata sul profilo facebook.  Ma Noviello ebbe la peggio perché il ragazzo di Capodichino era esperto in arti marziali. Ha raccontato in un recente verbale Gennaro Notturno, ‘o sarracino, uno degli ultimi pentiti in ordine di tempo della camorra di Secondigliano e Scampia: “Il tatuatore conosceva una persona che lavorava al forno del lotto Tb, si mise in mezzo per calmare questa situazione, per non farla andare oltre. Aveva chiamato – riferisce il pentito – mio cugino Raffaele Aprea, così da evitare che potessero sorgere altri problemi. Ma fu tutto inutile. Russo fu chiamato a Milano da Arcangelo Abete e partì con Ciro Abrunzo. Arcangelo Abete – conclude il pentito Gennaro Notturno –

voleva fare un favore a Cesare Pagano, dando una lezione al tatuatore per la “mancanza” che aveva avuto contro suo nipote”. La pm Gloria Sanseverino nel procedimento parallelo che si sta celebrando davanti ai giudici della quinta sezione della Corte d’Assise di Napoli e che vede imputati il boss Arcangelo Abete insieme a Raffaele Aprea, che organizzarono l’agguato nell’invocare il massimo della pena per i due ha voluto anche ribadire che  “Gianluca Cimminiello era un ragazzo perbene, un lavoratore la cui unica sfortuna è stata quella di incappare nel parente di un capoclan. E’morto da innocente. Questo omicidio merita una particolare attenzione, non soltanto perché ci troviamo di fronte a un’esecuzione spietata, ma anche perché ad andarci di mezzo è stata una persona del tutto estranea agli ambienti e ai circuiti criminali. Cimminiello era un ragazzo perbene, un lavoratore che ha avuto la sola sfortuna di possedere una forza fisica non indifferente e di essersi incappato in un parente di un capoclan”.Carcere a vita quindi per tutti i protagonisti di questa assurda morte. Ribadita  quindi l’estraneità dalla camorra di Cimminiello, al quale lo Stato non ha però ancora riconosciuto lo status di vittima innocente, il pubblico ministero ha messo l’accento su un ultimo aspetto: “In questo processo, oltre ai collaboratori di giustizia, sono stati per una volta fondamentali anche i testimoni”.

 


Articolo pubblicato il giorno 18 Maggio 2018 - 23:22

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