“Decostruzione” e “ricostruzione” semantica delle parole, è questo l’obiettivo che si pone lo scrittore e magistrato pugliese Gianrico Carofiglio, protagonista dello spettacolo “La manomissione delle parole”, titolo omonimo di un suo libro del 2010, diretto da Teresa Ludovico, che sarà in scena, giovedì 10 maggio 2018 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 13) al Teatro Nuovo di Napoli.
Presentato da Teatro Kismet Opera, l’allestimento, il cui debutto è preceduto da un incontro con il pubblico, sempre giovedì alle 18.30 al Teatro Nuovo e moderato dal Presidente Fondazione Premio Napoli Domenico Ciruzzi, vede l’autore costruire un’indagine letteraria, politica e giudiziaria, a partire da alcune citazioni di personaggi storici: da Aristotele a Cicerone, da Dante a Primo Levi, da Calvino a Nadine Gordimer, da Obama a Bob Dylan.
Partendo da documenti reali, redatti da avvocati e forze dell’ordine, e traendo spunto da testi di autori molto differenti tra loro, Carofiglio invita a riflettere sull’utilizzo dei termini, spesso privi della loro intima sostanza perché logorati dal “politichese”, dal linguaggio giornalistico e da ogni forma di espressione che procede per luoghi comuni e frasi fatte, con l’intervento dal vivo del suggestivo fagotto del maestro Michele Di Lallo.
Una riflessione mirata a risvegliare la capacità di comprendere i veri significati delle parole, troppo frequentemente stordita da modalità espressive che non si lasciano comprendere, ma che, anzi, escludono ed eludono ogni forma di interrogazione.
Le parole possono divenire minime dosi di arsenico, dall’effetto lento, ma inesorabilmente tossico. Questo è il pericolo delle lingue del potere e dell’oppressione, e soprattutto del nostro uso e riuso, inconsapevole e passivo. Per questo è necessaria la cura, l’attenzione, la perizia da disciplinati artigiani della parola, non solo nell’esercizio attivo della lingua, quando parliamo e scriviamo, ma ancor più in quello passivo: quando ascoltiamo e quando leggiamo. Per Carofiglio l’unico metodo è manometterli, cioè smontarli e rimontarli nel loro verso originario. Può essere un lavoro faticoso, difficile, ma riscoprire il significato ultimo riposto nelle parole, vuol dire rigenerarle, dar loro vita nuova, riabilitarle, salvarle dal naufragio e dagli attacchi che subiscono quotidianamente.
La manomissione delle parole è un invito a riappropriarci del valore vero delle parole, ripulendole dalle venature che il potere ha “attaccato” su di esse e restituendo loro le proprietà originarie, in modo che possano essere di nuovo i pilastri della nostra vita etica e civile, e possano nuovamente appartenere a ognuno di noi, per raccontare le nostre storie.
Articolo pubblicato il giorno 7 Maggio 2018 - 12:52

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