Sono nati a Rio de Janeiro, San Paolo, Salvador de Bahìa e Ilheus ma residenti a Maddaloni. Poi si trasferiscono in Gran Bretagna. Dove di brasil-casertani ne sono arrivati talmente tanti in meno di due anni da far insospettire l’Nca, l’inflessibile National Crime Agency che, dopo la Brexit, ha stretto le maglie degli ingressi nel Paese. Una volta nel Regno Unito, i brasiliani di Maddaloni chiedevano il ricongiungimento ai familiari. E, sulla base di documenti falsi, riuscivano ad ottenerla perché sulla carta risultavano italiani a tutti gli effetti.
Nel 2016, però, il meccanismo si è inceppato. O, quantomeno, ha finito per raggiungere proporzioni tali da innescare la macchina dei controlli. Quelli dell’Nca, cartina geografica alla mano, hanno individuato il comune di Maddaloni, nel Casertano, e si sono fatti qualche domanda sul perché tanti cittadini brasiliani fossero passati di là prima di volare oltre Manica. A quel punto è scattata la segnalazione che ha fatto partire le indagini sfociate in quattro fermi, tutt’ora in attesa di convalida del gip, che hanno colpito ciò che ancora restava in piedi del Comune di Maddaloni. Il deus ex machina del traffico era Giuseppe Cembrola, il capo dell’ufficio Anagrafe del Municipio. Certificava residenze inesistenti per centinaia di cittadini brasiliani. E aveva escogitato, secondo i pm, un sistema a prova di bomba. Tutto partiva, secondo quanto si è appreso fino ad ora, dalle sedi consolari italiane in Brasile. Non si sa in che modo, forse con la complicità di dipendenti degli uffici di ambasciate e consolati, otteneva certificati falsi che attestavano che quei richiedenti erano discendenti di italiani. Con l’avo nella manica, il gioco era fatto. Il funzionario dell’Anagrafe metteva tutto agli atti, modificava il registro madre ed emetteva le carte d’identità attestanti la residenza a Maddaloni. Ogni brasiliano, ringraziando, pagava lo scomodo con cifre oscillanti tra i tremila e i cinquemila euro. Per ora, il flusso anomalo di sudamericani-maddalonesi si attesta intorno alle otto centinaia.
Ovviamente, Cembrola non era solo. Il fermo spiccato dal procuratore aggiunto Alessandro Milita e dal sostituto Alessandra Pinto, ha infatti colpito anche altre tre persone. Tra loro ci sono il genero del boss Antonio Della Ventura, Michele Maravita che peraltro, proprio pochi giorni fa, è stato sfrattato dalla villa del capoclan, confiscata e acquisita al patrimonio comunale. È detenuto per le stesse ragioni anche Gaetano Mele. I due, secondo l’accusa, fittavano le case nelle quali per brevissimi periodi i brasiliani alloggiavano in attesa della loro carta d’identità.
Le indagini sono a un punto di snodo. C’è l’ipotesi che qualcuno, a Brasilia, in sede diplomatica aiutasse la cricca. E la sensazione è che il fermo del funzionario e degli altri tre dipendenti comunali sia solo la punta di un iceberg. Le accuse, contestate a vario titolo, sono il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, corruzione e falsità materiale.
Naturalmente, i tre, difesi dagli avvocati Aldo Tagliafierro, Mario Mangazzo e Michele Di Fraia, avranno la possibilità di difendersi e fornire la loro versione dei fatti nel corso dell’udienza di convalida del fermo che si terrà con tutta probabilità questa mattina. Continuano, intanto, le indagini e gli accertamenti della squadra mobile di Caserta, diretta dal vicequestore Filippo Portoghese: le verifiche sono coordinate dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, guidata da Maria Antonietta Troncone. Ieri, al Municipio di Maddaloni, c’è stato il secondo round. Gli agenti hanno svuotato diversi armadietti, portando via il registro degli immigrati, tutti gli elenchi di cambi di residenza e altri documenti dall’ufficio Anagrafe.
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