”Tale sentenza – si legge nella nota – afferma il principio per il quale chi deve scontare una pena, anche residua, fino a 4 anni di carcere ha diritto alla sospensione dell’ordine di esecuzione della stessa pena allo scopo di chiedere e ottenere la misura alternativa al carcere dell’affidamento in prova ai servizi sociali, nella versione ‘allargata’ introdotta dal legislatore nel 2013”. ”Il che vuol dire in tali casi – affermano Riello e Gialanella – come in quello dei tre fratelli condannati piu’ volte, il pubblico ministero abbia emesso un ordine di carcerazione deve sospenderlo, quando la pena ecceda il limite dei quattro anni, in modo che sia dato al condannato il tempo di chiedere al Tribunale di sorveglianza l’affidamento in prova ‘allargato’ ed attendere una decisione al riguardo prima dell’ingresso in carcere; il Tribunale di Sorveglianza al quale spetta la decisione circa l’ingresso in carcere del condannato ovvero la concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali”. ”Ed infatti – spiegano il pg e l’avvocato generale – la Corte costituzionale ricorda, nella sua sentenza, ‘lo scopo del legislatore di deflazionare le carceri, visto che esso si persegue non solo liberando chi le occupa ma anche che vi faccia ingresso chi e’ libero”. Riello e Gialanella ricordano inoltre che ai tre condannati ”la concessione dell’indulto ai sensi della legge n.241 del 2006, per effetto di una decisione della Corte di appello di NAPOLI del 26 gennaio 2018, aveva ridotto la pena degli stessi da sette a quattro anni, dei quali sei mesi gia’ scontati in sede cautelare”. ”Ne e’ seguito l’obbligo, per questa procura generale – conclude la nota – di sospendere l’esecuzione della pena, fermo il diritto dei tre condannati, comunque, per effetto di quanto detto, di domandare ed ottenere tale sospensione in attesa della decisione sulla richiesta di misura alternativa al carcere”.
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