La storia ufficiale delle verità negate ci racconta la contrastata parabola professionale dell’archeologo preistorico Innocenzo DALL’OSSO. L’antiStoria i torti da lui subiti nella Italietta sabauda del primo Novecento a causa del suo impegno operoso a favore della affermazione della importanza della Preistoria campana e meridionale.
Ricostruire la verità su questa vicenda ci sembra – oltre che un debito verso la Cultura – un doveroso atto di giustizia nei confronti di uno studioso attento e aperto, perseguitato e offeso per le verità che andava affermando, invise al potere ufficiale.
In questa vicenda entrano da inattesi protagonisti, esponenti di spicco della cultura del tempo, maggiori o minori, come Benedetto CROCE o Luigi PIGORINI e anche Ettore PAIS, protagonisti nella Napoli del Primo Novecento ormai rassegnata al ruolo di ex capitale. Era una Napoli in cui la Massoneria di matrice risorgimentale vedeva nelle logge massoniche figurare esponenti di spicco della cultura del nuovo regime.
Nella precedente puntata abbiamo cominciato una intervista con l’antiStoria, rappresentata consapevolmente dal dr Antonio MORLICCHIO, studioso meridionalista e attento “spigolatore” di Storia del nostro territorio.
Egli comincia con il ricordarci che in particolare : “Una loggia massonica, la loggia Libbia d’oro – sul cui simbolo spiccava in evidenza il “nodo” Savoia – ospitava personaggi del calibro del noto archeologo, dirigente e cattedratico pompeianista Giuseppe FIORELLI e dello storico Luigi SETTEMBRINI.
E il ministro Cesare CORREA, il direttore del Museo Archeologico Domenico SPINELLI, l’accademico Paolo Baffi poi deputato, e ancora Vittorio Imbriani docente di letteratura tedesca, nonché i deputati Paolo CORTESE e Filippo AGRESTI. Addirittura presso la Loggia figurava in qualità di primo massone lo stesso GARIBALDI, come membro Onorario. Insomma – si interrompe per un attimo Morlicchio – doveva essere una specie di P2 di quel tempo.”
Cosa può dirci sulla amara vicenda di DALL’OSSO? Possiamo sperare in cose chiare e concrete, in termini di antiStoria e di verità velate, da svelare finalmente, dr Morlicchio?
“Purtroppo allora imperava la ‘teoria pigorinia’, elaborata da Luigi PIGORINI, il massimo preistorico dell’Italia sabauda, teorico della superiorità della facies palafitticola delle Terremare e dell’arco subalpino che – continua Morlicchio – secondo il Pigorini aveva generato la cultura peistorica italica, contaminata, anzi fecondata dalla Kultur europea e mitteleuropea, breviter germanica”.
Insomma, chiediamo, interrompendolo noi stavolta: DALL’OSSO con le sue intuizioni e deduzioni dava fastidio? Soprattutto, egli minava alla base la favola menzognera della superiorità della Cultura Italica fecondata dalla Kultur proveniente dal Nord e affermatasi fino alla Roma di Romolo e Remo?
Forse il giovane studioso della Preistoria Campana di fatto diventava un fastidioso ostacolo per le strategie dell’ormai consolidato potere sabaudo, che cercava lignaggio e spazi di credibilità in Europa?
“Certo che sì” – riparte Morlicchio – “Questo era l’obiettivo dei nuovi regnanti italiani, che avevano soffocato nel sangue le insorgenze delle popolazioni meridionali e le epiche ribellioni dei cosiddetti Briganti, tra essi non ultimo il nostro Pilone, al secolo Antonio Cozzolino, vesuviano doc, ucciso a Napoli in un agguato poliziesco nei pressi dell’Orto Botanico.”
Ma DALL’OSSO era un funzionario pubblico, dipendente di quello che oggi chiamiamo Ministero dei Beni culturali e anche uno studioso, visti i risultati. Chi gli fu contro? E perché? Morlicchio riprende con l’antiStoria: “Purtroppo si schierarono contro di lui in blocco colleghi e superiori, in una gara codarda, tesa dapprima a ostacolarlo e, poi, a infangarlo. L’orchestratore forse – o senza forse – fu Pigorini, affiliato alla Massoneria e in piena scalato al proprio cursus honorum di uomo di potere, che lo porto’ a diventare prima Direttore Generale e poi anche addirittura Vicepresidente del Consiglio dei Ministri nel 1919. “
D’altra parte, nei primi decenni del Novecento l’Archeologia Napoletana – ma soprattutto quella operante a Pompei o per Pompei, aggiungiamo – non si distinse positivamente, salvo alcune eccezioni.
Dagli atti pervenutici si ricava l’impressione netta che funzionari e accademici gravitanti nell’orbita dello “scavismo pompeiano” (ndr: così con sufficienza era segnata a dito la realtà vesuviana) non fossero all’altezza dei grandi impegni connessi alla gestione degli Scavi già allora più famosi al mondo.
E forse era vero…
Federico L.I.Federico
(2- Continua)
Articolo pubblicato il giorno 5 Aprile 2018 - 15:17