“Mentre mi picchiavano sentivo uno di loro incitare i compagni a colpirmi con il coltello”: E’ il racconto choc di uno dei feriti nella selvaggia aggressione avvenuta la sera del 7 gennaio scorso in via Carducci, nel cuore di Chiaia. Un episodio che come lo definisce il gip Claudio Marcopido “é caratterizzato da violenza gratuita e da dispregio per l’incolumità delle persone. L’accanimento dimostrato dagli indagati nel portare a compimento il proposito delittuoso, l’assoluta insensibilità dimostrata per l’incolumità delle vittime, la macroscopica inadeguatezza del movente sono tutte circostanze che orientano per una prognosi di pericolosità decisamente infausta”. E da ieri sono in carcere Vincenzo Spera e Emmanuel Dattilo, 22 anni non ancora compiuti, che ora devono difendersi dall’accusa di tentato omicidio. Un terzo indagato, Francesco Palladini, è stato raggiunto dalla misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria con l’ipotesi di favoreggiamento: è accusato di aver accompagnato fuori città i due, in un albergo di Varcaturo, subito dopo l’aggressione a bordo di una Bmw presa a noleggio. La famosa rissa ai Baretti era iniziata come ha raccontato il testimone ferito “Eravamo su una panchina a chiacchierare tra di noi a fine serata.Il mio amico cercò di difendere la mia ragazza dalle avances di quell’ubriaco: subito dopo ci allontanammo, e a quel punto venimmo circondati e colpiti”. Cosa avvenne poi lo ha spiegato un altro teste: “Si avvicinarono a me due ragazzi e mi chiesero dove fossero gli aggressori di Vladimir. Quello più alto si rivolse a me, dicendomi in modo dialettale e minaccioso che gli dovevo indicare la strada, che non potevo rifiutarmi, perché loro erano di San Giovanniello (zona Vasto, dove è egemone il potente clan Contini, ndr). Spaventato dal modo di porsi dei due, fui costretto ad accompagnarli indicando loro la strada e le persone che avevano aggredito Vladimir. Quello più alto mi chiese anche il casco che aveva con me, a sottolineare la volontà di usarlo come oggetto contundente”. Le indagini scattarono immediatamente. La polizia acquisì i filmati della videosorveglianza grazie ai quali fu possibile realizzare l’identikit dei presunti aggressori. Gli esperti della scinetifica hanno lavorato sul materiale biologico – due magliette, un giubbotto e due pantaloni – trovati in occasione delle perquisizioni eseguite presso le abitazioni degli indagati. Da quegli abiti è stato estrapolato il profilo genetico. La quadratura del cerchio: perché questo ha consentito di rafforzare ulteriormente il quadro indiziario a carico dei due principali indagati per la presenza di sangue di una delle vittime su un giubbotto sequestrato a casa di uno degli indagati. Nella prima fase delle indagini, i due erano stati condotti in commissariato per essere ascoltati come testi. Spera aveva fatto il duro: “Sono fatto così, posso pure morire, mi faccio uccidere, mi possono portare in Sudamerica, io non parlo”. Dattilo invece aveva avuto un attimo di preoccupazione: “Mi portano a Poggioreale eh?…mica vado a Poggioreale?”. E da ieri è ospite di Poggioreale insieme con l’amico complice.
(nella foto Vincenzo Spera ed Emmanuel Dattilo)
Articolo pubblicato il giorno 19 Aprile 2018 - 10:41