Nella triste vicenda di Casapesenna, spunta la figura della segretaria che, secondo alcune testi sentite dai pm, era l’amante di don Michele Barone. Una ragazza non ancora trentenne, indagata perché secondo l’accusa era presente ai maltrattamenti ma in stato di libertà. Presenza la sua, confermata anche, in incidente probatorio, dalla sorella della vittima. Quella giovane donna, insieme ad altri delle quali la ragazza ha fatto i nomi, faceva parte di una “setta” di adepti presenti alle preghiere di purificazione alle quali prendevano parte anche cinquanta persone alla volta. Quelle persone, secondo i pm, esercitavano una forte influenza sui familiari delle presunte indemoniate. Agivano in gruppo, suggerendo che quelle di don Barone erano le uniche “pratiche giuste” per la salvezza dell’anima. La sorella della vittima, interrogata ieri con le modalità protette, ha ripercorso i mesi di violenza: “Secondo don Michele, mia sorella era posseduta dal diavolo perché le era stata fatta una fattura dalla zia di mio padre. I miei genitori inizialmente erano scettici – ha riferito la giovane – ma poi mia sorella, che insieme ai problemi psicologici ha manifestato anche delle difficoltà di movimento, ricominciò a camminare per cui mia madre e mio padre si convinsero che quelle fossero le pratiche giuste, e non le cure farmaceutiche prescritte all’ospedale Bambin Gesù dove era stata ricoverata quando aveva avuto i primi problemi”.
“Furono influenzati non solo dal prete – ha raccontato la ragazza – ma anche da persone esterne. Io e l’altra mia sorella maggiore non abbiamo mai creduto a quello che faceva don Barone, a volte è stato talmente violento che io me ne sono andata per non dover assistere alla sofferenza di mia sorella. Protestavamo con i miei genitori, ma non siamo mai state considerate”.
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