Cronaca Nera

Droga purissima dalla Colombia in cambio di forni elettrici imbottiti di soldi: gli affari del broker Carbone

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Napoli. Forni elettrici imbottiti con milioni di euro e spediti dalla provincia pavese in Colombia per l’acquisto di centinaia di chili di cocaina purissima. Droga nascosta nei doppifondi dei Tir che arrivavano in Italia e a Napoli attraverso l’Olanda e ad organizzare il traffico, per diverse organizzazioni criminali, c’era sempre lui Bruno Carbone, 41 anni, di Giugliano in Campania, il narcotrafficante broker che riusciva ad approvvigionare i clan a Nord di Napoli e quelli di Torre Annunziata. Carbone, latitante dallo scorso anno, stabilitosi in Olanda stabilmente era riuscito a organizzare un’associazione verticistica con i referenti di ogni clan, a partire dai Nuvoletta di Marano, e in particolare con Antonio Nuvoletto. Tanto che nel 2016 fu destinatario di un’altra ordinanza di custodia cautelare per traffico internazionale di stupefacenti proprio con i maranesi. Indagato anche il padre Vittorio, nell’ordinanza firmata dal Gip Francesca Ferri, per avere – su indicazioni del figlio – reclutato giovani adepti con il ruolo di corrieri o di fiancheggiatori nel traffico. I referenti del broker erano in particolare tre narcos colombiani in Italia e in Olanda: i fratelli Ayala Gomez, uno residente in provincia di Brescia, l’altro a Cali in Colombia e Aguirre Avivi, anch’egli residente in Colombia. Centosessantadue i chili di cocaina sequestrati tra il 2013 e il 2014, insieme a 140 chili di hashish. Ma agli inquirenti sono sfuggiti 240 chili di coca, arrivata sicuramente in Italia, secondo quanto accertato attraverso le intercettazioni telefoniche e ambientali, ma spariti nel nulla. Il danaro per l’acquisto veniva inviato direttamente in Colombia, nascosto in forni elettrici assemblati presso l’azienda di Fabrizio Ventura, le spedizioni venivano curate dal suo assistente Paul Forgaci, di origini rumene ma residente in provincia di Pavia: entrambi sono accusati di favoreggiamento. Componenti del direttivo dell’organizzazione per la gestione della logistica, del trasporto e dello stoccaggio della droga: Giacomo Di Pierno, Vincenzo Esposito, e Violetta Preziosa, a loro – secondo gli inquirenti – era affidato anche il compito di pagare gli affiliati. Ogni piazza di spaccio aveva poi un referente che trattava direttamente con il narcotrafficante giuglianese: del rione Traiano, gestito dal clan Leone, si occupava Marco La Volla. Ad occuparsi della piazza di spaccio del Rione napoletano, c’era Maria Iavarone, moglie del boss Davide Leone.
Ruolo importante quello delle donne del gruppo criminale, oltre a gestire le piazze di spaccio si occupavano di custodire lo stupefacente o mantenere la cassa del clan per conto di Bruno Carbone. Il broker approvvigionava anche la zona di Caivano e in particolare il parco Verde, gestita per lo spaccio dal clan Ciccarelli. E proprio Pasquale Fucito, uno dei vertici del clan Ciccarelli- Sautto, sono legate le vicende che hanno portato all’arresto di Lazzaro Cioffi, detto Marcolino, brigadiere dei carabinieri in servizio a Castello di Cisterna. Cioffi avrebbe fatto affari con Fucito, ma non solo lo avrebbe aiutato a evitare il sequestro di somme di danaro, agevolando i suoi traffici di stupefacenti. In cambio avrebbe ricevuto un sovraprezzo di circa 60mila euro per la vendita delle quote di un ristorante intestato alla moglie, in provincia di Caserta, e mille euro per fare un regalo alla moglie in occasione del suo compleanno. Nell’inchiesta è indagata anche la moglie di Cioffi, Emilia D’Albenzio.
Il brigadiere prevalentemente in servizio al Parco Verde di Caivano, avrebbe informato più volte il suo amico Fucito, anche delle indagini in corso sull’organizzazione criminale. Pasquale Fucito, detto ‘o marziano Sherek, si occupava anche personalmente dell’acquisto e della contrattazione di grosse partite di stupefacente dall’Olanda ed aveva organizzato un gruppo separato da quello di Bruno Giordano, pur godendo del suo appoggio. Andava nei Paesi Bassi almeno una volta a settimana. La coca una volta arrivata in Italia, veniva stoccata in box e abitazioni proprio nel Parco Verde di Caivano, dove Fucito agiva in regime di monopolio per lo spaccio di stupefacenti. 

 Rosaria Federico

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Articolo pubblicato il giorno 20 Aprile 2018 - 00:21

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